Andando ieri sera alla Scala per vedere l'Aida con una mia classe. Perdonerete, saranno pure tutti quei costumi, le sontuose scene, i colori, i timbri, il fraseggio esotico di "Immenso Fthà", le danze conturbanti, cavalli e cavalieri in scena, stucchi dorati e velluti rossi (compresa una stecchetta in esordio di Radamès e qualche buu tipicamente loggionista al povero Amonasro), ma mi veniva di pensare a una cosa. Palinfrascando, che è mia somma specialità, pensavo a quanto la romanzeria dei giorni nostri abbia perso per strada la capacità, il coraggio del fantastico, parente stretto, strettissimo del meraviglioso aristotelico. Costretta a narrare il becero, insulso quotidianese, le solite turbe salottier-borghesucce, si è fatta così anemica, agorafobica, generazionale, classista per certi versi. Incapace di volare oltre; non che servano Ippogrifi e peregrinazioni picaresche, eppure quella, sì, propria quella fantasia infantile, che si chiamava sbrigliata, senza bavagli, si è come dissolta. Figli di epoche della paura, intimoriti, per nutrire di fantasia il narrato e il narrabile, è vero, ci vuole molta audacia, decisione a rischiare la rottura, l'infrazione. Osare non è tipico delle lande timorose. Tornando al palcoscenico, chiudo chiosando con una battuta del grande Carmelo, Bene nazionale (quest'anno ricorre il decennale dalla morte, fra l'altro). Parlando dei drammaturghi coevi, li apostrofava così: " Avete portato il teatro fra la cucina e il cesso, stronzi!".
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Confesso in me un duplice moto, di adesione istintiva e di contrasto a questo stesso impulso. Evviva la "limpida meraviglia di un delirante fermento", per stare a parole lette questa mattina in classe, purché non ci si perda nella schiuma. No al realismo che spinge in fondo sull'ideologia per imporsi come valore, sì però al reale, nel suo essere anche (perdonate il termine, che sa ancora, e di ben altra, ideologia) mistero. La meraviglia è la condizione della conoscenza, l'aprirsi alla conoscenza. Penso almeno a quella porzione di Baricco che ho letto: quante volte la meraviglia si sgonfiava e le immagini si afflosciavano su sé stesse...
RispondiEliminaMi trovo del tutto d'accordo con DL. Però, se posso, con un appunto: mica tutto quello che è quotidiano è da buttare. Le cose migliori che mi è capitato di leggere ultimamente erano colloquiali e quotidiane, nel tono e negli argomenti; possedevano, tuttavia, quell'ingrediente indefinibile che produce lo scarto tra realistico e reale. Tra volutamente impoetico e così-impoetico-da-essere-tremendamente-poetico, non so se mi spiego. La differenza che c'è tra il genio Wallace e lo scribacchino talentuoso Franzen, tra il Baricco buono e quello cattivo (quello di quasi tutto Mr Gwyn, ad esempio), nel fantasy tra Tolkien e la Troisi, e così via. L'arte, forse.
RispondiEliminaDetto questo, tornando in argomento, piacerebbe anche a me vedere più invenzione, più libertà, più coraggio. Sempre che ci siano penne in grado di sostenerlo.
Oddio, Baricco sta alla meraviglia come la panna montata alla crema chantilly...ma il meraviglioso, cui cennavo (non so: il nostro Cervantes, Rabelais, di recente Landolfi, Savinio ecc.) è sempre più reale di molta ricerca del 'reale' (l'ho citato nell'Introibo ad Clavilegnum, se ricordi). Può apparire, sì, un'arma a duplice lama: evasione stordente (che pure talvolta non guasta) o divagazione molto circostanziata, a dispetto dell'abito. A questa seconda mi riferivo, rispetto a tanta claustrofobia che circuita nelle odierne produzioni, classista ripeto, ad uso di palati ben selezionati. E sì innocua, non problematica, eppure dannosa alquanto.
RispondiEliminaPer inciso: il Baricco buono devo ancora leggerlo.
RispondiEliminaMa sì, Danilo, intendo eccome. Non temo affatto il meraviglioso, anzi; pongo solo il problema di saper sempre distinguere la panna montata dalla crema chantilly, con tutte le gradazioni intermedie possibili (l'ottima panna montata e la pessima crema chantilly...). Su Landolfi mi piacerebbe ridiscutere poi, perché per un certo periodo mi è sembrato un autore sottovalutato, ora in effetti mi suscita più dubbi.
RispondiEliminaE, comunque, tanto per dire, "Novecento" di Baricco a me piace, andrebbe solo ripulito di qualche vezzo (e non conosco le opere più recenti di questo autore).
Be', sì, ci sono gradationes in tutto (anche se la crema chantilly sarà sempre superiore alla panna; questione di ingredienti). Per Landolfi, come per molti altri autori del secondo Novecento, rientra perfettamente tra i profili che immaginavamo per "il Clavilegno"; rileggere autori dimenticati a torto a ragione, riscoprire anche i 'padri' più recenti. Ci si potrebbe fare una pensata per qualche numero futuro, magari a blocchi monografici alterni.
EliminaEcco, mi sembra un'idea stuzzicante, pizzicare Landolfi su Atelier...
RispondiEliminaVedi, tipo, i racconti di "Ombre", una raccolta comprensibilmente più editoriale che letteraria; ne togli giusto un paio, forse tre, gli altri sono bozzetti appena accennati, poco o niente accattivanti.
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RispondiEliminaPer fabbricare il "meraviglioso" in scena serve il realistico lavoro delle maestranze. Come per le piramidi egizie è servito il lavoro degli schiavi. Non che le maestranze a teatro siano schiavizzate - tutt'altro, giacchè sono ipersindacalizzate - ma preferisco un teatro "convenzionale", come diceva il grande regista russo Mejerchol'd: dove cioè il meraviglioso scaturisce dalla maestria dell'attore che manovra oggetti quotidiani come fossero fantastici e di fatto crea una potente illusione; e non è mai solo in questo lavoro, perché ha bisogno almeno per la metà del lavoro che lo spettatore fa per ricreare nella mente quel “meraviglioso”. Non si tratta di sostenere a tutti i costi un'idea pauperistica di teatro (in Oriente i teatri classici sono tutti "convenzionali", ma non per questo si servono di stracci o oggettucoli), bensì di riconoscere che i meccanismi del fantastico non hanno per forza bisogno, per essere messi in moto nella mente dello spettatore, delle sbrodolate ipernaturalistiche di uno Zeffirelli. Del resto Bene docet in questo, poiché tutta la forza del suo teatro era riposta “solo” nella phonè, nella voce.
RispondiEliminaFranco, ovviamente citando l'Aida, non mi riferivo alla monumentalità zeffirellesca, perché chiosare con Bene sarebbe stato quasi blasfemo...ma lo spunto dell'atmosfera dell'Aida m'aveva catapultato nell'idea del fantastico nella narrativa e non nel teatro, tant'è che ho citato Bene a proposito dei drammaturghi e non del fare teatro da parte degli attori. Lo spunto insomma era dato dalla nuance tutta 'astratta' dell'occasione e non dello strumento. L'incantamento a teatro so bene che lo può dare anche un palco vuoto, pure se Bene prima di farsi solo voce usava anche certi vestimenti 'luccicosi' (vedi la Salomé). Il teatro alla Growtoskj o dell'Odin lo condivido nell'impianto, gli esiti spesso mi lasciano più perplesso. Il meccanismo del fantastico a teatro d'altronde è ben diverso da quello che si innesca nella finzione unicamente verbale della parola romanzesca...categoria del fantastico a teatro, nel romanzo, nella poesia...chissà che non sia un'idea per un intervento trasversale nella rivista?
EliminaSuscitare il meravigioso a partire da oggetti quotidiani... E' il Clavilegno!
RispondiEliminaSì, vero Danilo, un argomento trasversale che si potrebbe approfondire. Anch'io, non credere, sono molto critico, a volte fino al dileggio, verso certi esiti dei barbiani o dei grotowskiani; o, con maggior rispetto, di certe cose dello stesso Barba e del (fu) Grotowski. A proposito delle fantasticherie degli scrittori a teatro – interessanti perchè colgono sempre aspetti stranianti dello spettacolo teatrale - c'è un bellissimo libro di Meldolesi "Tra Totò e Gadda, sei invenzioni sprecate del teatro italiano", dove la parte su Gadda coglie proprio questa disposizione divagante del gran lombardo, tutta compendiata, per assurdo, nella famosa frase di Baudelaire che dice più o meno "la cosa più interessante che si possa fare a teatro è guardare i riflessi del lampadario di cristallo che illumina la sala”.
RispondiEliminaSai, mentre leggevo (solito palinfrascaggio che m'appartiene) mi riveniva in mente un'altra cosarella, utile, forse, ma lo valuterai tu, per la rubrica di teatro: Gadda a teatro è grande sfida (Eros e Priapo fa trent'anni a breve e l'attrice forse lo porterà nella mia scuola, grazie a una mamma), ma parlando con Silvio Castiglioni del CRT a proposito del suo "Storia dela colonna infame", che ho visto lo scorso anno e che ripropone a maggio, si discuteva proprio di portare in scena testi antiteatrali, in quanto antispettacolari. Credo sia un riflessione importante: quanto sfidi le prassi teatrali una parola antispettacolare o un testo antiteatrale che vuole essere piegato ai bisogni del palcoscenico, rispetto a testi zuccherosi che vanno a solleticare l'ascolto bovino del pubblico, senza sfidarne i limiti di sopportazione. Non che sia la 'mia' idea di teatro, ma la sfida in sé, fino a che punto spingere l'oltranza acustica mi sembra argomento degno di interesse
RispondiEliminaSì, veramente molto interessante. Poi Gadda per un attore è uno sport estremo, come fare parapendio rispettando i paletti dello slalom, o una cosa del genere. C'è Gifuni che ha portato in scena Eros e Priapo, ma non ho visto il suo lavoro. Io mi sono cimentato pubblicamente e spesso faccio esercizi di lettura con gli allievi attori sui testi gaddiani. E' un ottimo suggerimento trarre spunto, per la rubrica, dal tema dell'irrappresntabilità, della a-teatralità di un testo. Mi piace anche l'idea di dialogare a due su questo. Sai che per esempio Ronconi ha messo in scena uno dei testi teatrali considerato più irrappresentabile e cioè “Gli ultimi giorni dell'umanità” di Karl Kraus? Un testo teatrale di quasi MILLE pagine con centinaia di personaggi.
RispondiEliminaScusa Danilo non è che a maggio quando Silvio rifà "La colonna...", me lo dici? Se è possibile mi piacerebbe venire a vederlo.
RispondiEliminaScusa, è marzo. Dal 6 al 25. Io spero di portare un'altra mia classe. Lo fa al Salone, quello storico, di Via Ulisse Dini, davanti alla mia scuola
EliminaBe', Ronconi è famoso per quella rappresentazione monumentale (anche se non potrà eguagliare il suo Orlando; altri tempi, altre temperie forse), come pure per i testi di nicchia che va a scovare (di recente testi scientifici, politici, economici o anche barocchi)e il tema del romanzo teatrale a me attrae molto, pur essendo poco digeribile per ragioni materiali (economiche, in particolare). Pensa anche a "Il buon soldato Svei'k" ai tempi di Piscator...chissà potremmo nella rubrica mettere in bella copia pure questi sproloqui webettari
RispondiEliminaSproloqui webettari è un bel titolo... o webbistici...
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