Ci sono alcune considerazioni che
vorrei mettere in fila, riprendendo l'introduzione a “La
generazione entrante”, considerando alcune cose che sto osservando
negli ultimi tempi, riportando anche quanto accennato nel mio
intervento durante il convegno di Venerdì a Rimini durante “Il
porto dei poeti”: esiste e forse è qualcosa di più di
un'esigenza, forse si potrebbe definire come una necessità, che
inizi in qualche modo un processo virtuoso che tolga gli attuali
20-25enni dallo stato di torpore in cui sembrano essersi infilati. E
adesso potrete incazzarvi, potrete mandarmi a cagare: ma oggi invece
di “uccidere i padri” ho optato per due pedatine nel sedere ai
miei fratelli minori.
Perché la grande paura che ho è che
con l'alibi della precarietà, della crisi economica internazionale
si decida di non scommettere, di non esporsi, di non scontrarsi, ma
nemmeno confrontarsi con chi li ha preceduti in questo mondo
certamente difficile e pieno di problematiche della poesia: questo
vale sia per la poesia che per la critica, mentre a quell'età nelle
precedenti generazioni si fondavano riviste, case editrici, si
pubblicavano libri importanti per il cambiamento, per l'evoluzione e
del modo di fare poesia, oggi la tendenza generale è quella di
rifugiarsi dopo i blog su facebook e ancora maggiormente in questo
momento su twitter andando sempre più alla ricerca di un mezzo
veloce e in maniera direttamente proporzionale privo di analisi,
privo di riflessioni. La paura che tutto questo risulti sufficiente
mi muoveva già un anno fa quando in questi giorni preparavo
l'antologia che sarebbe poi uscita presso Ladolfi ed oggi in qualche
modo mi convinco ulteriormente della realtà di quel quadro. È la
mancanza di iniziative a preoccuparmi, e in questo senso vorrei
essere velocemente contraddetto, ne sarei lieto, non sapete quanto:
come vorrei almeno per un poco evitarmi quelle mail dove scrivono “io
sono speciale, io non leggo poesia perché quello che faccio va al di
là della poesia” e poi ti trovi a leggere robaccia senza capo né
coda. Lavorate, sudate, rischiate, producete, fate, invece che
parlarvi addosso fate ! Solo così potrete sfuggire da questa visione
da “reality show” della poesia dove l'importante è avere il
talento e aspettare sull'uscio di casa che arrivi il contratto che ti
cambia la vita e poi lo studio, la scuola, la formazione verranno in
un secondo tempo. Ma quando hai il fattore X li sì che svolti ! E
intanto continui a postare una poesia al giorno sul tuo wall sperando
che passi qualche Mara Maionchi del sistema letterario e ti faccia il
contrattone. Il problema è proprio questo: la Mara non passa, ed
ogni cosa bisogna guadagnarsela... Ad esempio bisogna guadagnarsi il
dialogo, il confronto, bisogna andarsi a cercare gli interlocutori
che possono fare il bene di una crescita poetica, e si badi bene non
è un discorso di compromessi o intrallazzi, ma di dialogo e lettura,
di esercizio ancora una volta, di lavoro, perché dovete prendere il
fare poesia proprio come un lavoro, anche dal punto di vista critico,
dovete imporre la bontà delle vostre idee, e ribadisco dovete farlo
con le opere (e con nient'altro), prendendo decisioni, esponendovi,
argomentando le vostre scelte, e tutto deve essere pubblico, tutto
deve essere fatto in mezzo alla gente, non tramite i gruppi mail,
anche una volta dialogo tra pochi. È ora di cresce, sotto ogni punto
di vista, solo così potrete cambiare tutte le storture che sono
state combinate prima di voi, troppo comodo sparare solo dietro a
quelli che si espongono, che magari cercano di fare. Ma l'omertà è
cosa tipicamente italiana, cosa che però può decisamente venire
meno. Dipende da voi insomma, se deciderete di non bastarvi ma di
aprirvi al mondo, ed aprire al mondo la poesia, che ne ha bisogno,
decisamente.
Matteo Fantuzzi.