Molti anni fa a Roma, quando ascoltai il nome di Annibale Ruccello, sulle prime m'immaginai subito uno degli autori meravigliosi del nostro teatro tragico cinquecentesco, quelli raccolti ad esempio nella pregiatissima edizione Ricciardi. Sia nel nome che nel cognome suonava così antico. Poi scoprii ben altro; la prematura scomparsa, la produzione poca ma stimata alta, altissima. Non sono riuscito all'epoca a vedere l'allestimento, che con amorosa dedizione la divina, straordinaria Isa Danieli, altrove da me apprezzata, diede di "Ferdinando", considerato il suo capolavoro, opera a un di presso somigliante a un lascito estremo, giacché scritta nel 1985, l'anno prima dell'incidente d'auto che se lo portò via. L'ho vista ieri in una registrazione con la regia di Bertolucci, a tratti troppo carica, ma molto, molto suggestiva. Che dire...è un capolavoro assoluto, totale. Capolavoro di lingua, di immagine scenica, di costruzione di una trama solida, dal sapore antico col suo colpo di scena finale, eppure così moderna, audace nella scelta dello sfondo storico, profondissima, acuta, limpida nel disegno dei personaggi. Una materia viva, luminosa. Che l'abbia scritta un uomo di teatro, un animale di teatro (Ruccello ne curò la regia, che si fece postuma nella riproposizione filologica della Danieli) è un po' la nota dolens. Un teatro così imparolato e immaginoso, così carico di energia esplosiva, possibile che non sia possibile vederlo scritto da un drammaturgo, un autore di parole, che lasci poi ad altri l'allestimento? Un teatro di parola così potente un drammaturgo oggi non sa più evocarlo?
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