L'abbandono della scrittura da parte di Roth è atto estetico, in considerazione dell'età avanzata e dei molti successi mietuti. Lo stesso compiuto venti o trent'anni prima, al culmine del successo, sarebbe stato etico, in considerazione della notevole sottrazione di tempo e risorse ancora spendibili, la secessione da una giostra gratificante. Assolutamente drammatico è l'abbandono dello scrittore anonimo, la miccia inesplosa, che sconta nell'esilio silenzioso della propria vita la potenza della frustrazione e della rinuncia, la mancanza di risposte, l'assenza di risposta alla domanda di senso intorno alle ragioni della sconfitta. Ma potentemente tragica è soltanto la prosecuzione dell'intima tortura quando si sia superata la soglia precedente con lampante consapevolezza e si accetti comunque l'assurdità dell'azione, l'illogicità del progetto, sapendo di errare, accettandone le conseguenze ultime.
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Bellissimo, sottoscrivo. Ma fino a qualche grado ulteriore, spero, che riapra alla leggerezza, alla spensieratezza, alla gratuità.
RispondiEliminaAT
Già. La gratuita potenza di ribaltare il gorgo; dal gratuito spreco di sé al gratuito amore di quello stesso lussuosissimo spreco...
RispondiEliminaErrare humanum est, perseverare diabolicum?
RispondiEliminaLa tua seppur impietosa (suona così) analisi meriterebbe l’attenzione di ognuno. Non tanto per parlare di Roth che avrà i suoi buoni motivi per estrinsecare le sue scelte: dopo tanti anni uno può anche essere appagato, persino stufo o deluso.
In definitiva è ciò che lo costringe a parlare di sé, a rivedere i suoi piani, a rinnovare il guardaroba, ma al contempo a ribadire i concetti e confermare le sue scelte.
Bensì m’immagino il tuo excursus come spinta o induzione all’autocritica (etica), con enunciazione (estetica), revisione (drammatica), conclusione (tragica) della carriera di ogni scrittore.
Vorrei scrivere qualcosa di “etico” pur sapendo di ricadere nel “drammatico” o peggio ancora nel “tragico” (così prefigurato) saltando a piè pari le altre fasi: sembrerebbe a ogni modo l’occasione per affrontare nuove tematiche, procedendo su quelle forme che altresì comportino un nuovo orientamento con un intenso anelito emotivo (la tragedia si confà meglio della commedia?).
Ho l’impressione che chiunque sia destinato a percorrere i cicli testé descritti: magari i più preparati per raggiungerne altri.
Molto sembra però dipendere da quanto si riesca a calcare la scena; l’apparire conta più dell’essere;
una bella copertina val più del contenuto; persino una meteora può bruciare rapidamente; chi è troppo osannato viene dimenticato in fretta; e tante facezie di tal portata che caratterizzano l’astrusa dimensione paraletteraria d’oggidì.
Al solito, D, starti dietro è dolorosamente bello. Stavo giusto in un periodo di stanca, ne avevo bisogno.
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