giovedì 21 marzo 2013
Non saprò come va a finire...
...Lolita, di Nabokov, ma la cosa non mi angustia. Ho mollato la presa all'ennesimo mirabile giro sintattico, all'ennesimo pezzo di bravura ritmica, all'ennesimo riuscito pastiche di prima e terza persona, di identificazione e separazione, all'ennesimo guizzo di cinismo sudaticcio e frivolezza dolente.
Faccio finta di accampare un paio di scuse.
Arrivo dalla lettura del fluviale Middlesex di Eugenides (in tre mesi il secondo libro in cui mi ossessiona Tiresia, dopo la lettura natalizia di Qualcosa di scritto, di Trevi).
C'è Italia-Brasile in tv e miracolosamente mia figlia n. 2 è già a nanna.
Ma sono scuse belle e buone. La verità è che mi dicevano che uno deve leggere questo libro, perchè è uno di quei libri che uno deve leggere.
A me, però, questo libro puzza un po' troppo di stantìo (fin dove sono arrivato) e, detto più o meno tra noi, sono contento di riportarlo in biblioteca domani.
Mi sa che non era un libro che dovevo proprio proprio leggere.
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Sempre meglio non sapere come vada a finire un classico, uno di quei libri che 'devi' leggere (libri così per fortuna non esistono, si trattase di Omero come di Dante) piuttosto che citarlo, infiorare citazioni, disquisire di qualcosa che non si sa nemmeno come vada a finire perché non lo si è letto. Anni fa uscì un libro - se qualcuno ne ricorda il titolo...- sul vizio di letterati e scrittori di citare libri che non hanno mai letto. Specie dei classici, per non parlare dei superclassici (greci e latini). Uno scrittore preferirebbe confessare di aver stuprato un neonato che ammettere, mentre si parla in pubblico o in un cena di Goethe o Tolstoj o di Tacito o Apuleio, "scusate non l'ho letto". Il silenzio parla. Altre volte c'è l'ammiccamento, sì, sì così come no, la condivisione del parere altrui e la giustificazione che si dà è: "Be' un classico lo conosci comunque per 'sentito letto' 'sentito criticato'". Come dire che fare l'amore al telefono alla fine è lo stesso di farlo dal vivo. Poi ci si slancia in florilegi citazionisti per stupire o avvalorare l'ipotesi. A vent'anni lo facevo anch'io: è naturale, devi corroborarti, darti forza, cercare appigli e hai davanti immense praterie sconosciute. Il disorientamento è normale. A trent'anni mi sono annoiato e oramai da qualche anno lo dico chiaro (ad es. Riccardo, io Nabokov manco l'ho preso in considerazione) e certe volte m'avvalgo della facoltà del "non l'ho letto e non mi piace (leggerlo)". Cazzo, il tempo è tempo, il denaro pure, il tuttologo è merce marcia, io voglio, io pretendo di scegliere. Ergo decido: se il classicone non mi va, non mi va. E la lettura è e deve rimanere un meraviglioso, nevrotico esercizio lussuoso e gratuito, dove doveri, dogmi, precetti non hanno titolo. Men che meno vergogne o pudicizie. Anche per il letterato, specie per lo scrittore. Diversamente un critico, uno studioso, che pure non ha da essere tuttologo, dovrebbe conoscere molto bene ciò di cui parla. E che spesso si picca di insegnare all'università o di pontificare da quotidiani.
RispondiEliminaProprio oggi ho mollato a metà "Il paese delle prugne verdi" di Herta Müller.
RispondiEliminaSolo "Grande sertäo" mi aveva irritato tanto.
Avrò un conto in sospeso con la dieresi (dieresi, non diuresi, giacché da giorni qui sul blog si parla di ex calciatori famosi...)
Magari di malavoglia, ho sempre completato la lettura di un libro. Talvolta ne ho sospeso il corso per riprenderlo nel momento più opportuno. Ho pure fatto uso di un sistema (del tutto personale) di lettura rapida perché con certi autori è del tutto funzionale e riduce la propria intemperanza.
RispondiEliminaPerciò sarebbe forse bene agire in modo al mio contrario, dandoci subito un taglio per dedicarsi ad attività più proficua. Ma tant’è, c’è sempre un motivo che invoglia a continuare: poter annoverare l’opera nel nostro palmares, approfondire un discorso vieppiù letterario, calarsi nei panni altrui: mettersi a confronto, insomma, per sostenere furbescamente la pervicacia delle nostre convinzioni.
Di scelte (giuste o sbagliate) invero ne ho fatte tante, penso ai libri che ho preso in mano in libreria e che dopo attenta lettura della prima pagina o della quarta di copertina, ho restituito con atto inverecondo agli scaffali. Ancora oggi si vede qualche lettore supponente che depone inorridito il vile prodotto di mercato.
Piuttosto, se ho ben capito, mi viene quasi da dire che i motivi che hanno spinto Riccardo a interrompere la sua lettura sono proprio quelli che io spesso ricerco in un autore: manierismo virtuosistico, esercizio di stile intellettualistico, tecnicismi e citazioni varie. Capisco che possano annoiare e che non rappresentino il solo modo d’esprimersi, ma talvolta affascinano.
A questo punto penso proprio che dovrò leggere Lolita (prima o poi): prendo la cosa come un inusuale suggerimento letterario.
Ah, eccolo! Riccardo l'iconoclasta. Aspettiamo ripensamenti su Herzog.
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