[le parti sottolineate, diciamo, le condivido, eccome]
INGE FELTRINELLI DÀ RAGIONE A TREVI “STREGA MAFIOSO”
Le polemiche dopo la denuncia dello scrittore a “Repubblica”
RAFFAELLA DE SANTIS
«Trevi
in parte ha ragione: il sistema di scelta dei candidati del Premio
Strega è un po’ mafioso. Servirebbe una giuria più fresca e
indipendente». La reazione più dura alle accuse che ieri ha lanciato su
Repubblica Emanuele Trevi contro il più importante premio letterario italiano arriva da Inge Feltrinelli che anche da Mosca tiene a far sentire la sua voce. Ieri lo scrittore ha annunciato di volersi sospendere da giurato per dire basta alle pressioni e alle strategie degli editori che «si muovono seguendo esclusivamente i principi del marketing» e in cui «molti giurati sono stipendiati dagli stessi editori che poi chiedono loro il voto». La signora dell’editoria italiana è diretta: «La Mondadori detta legge», dice, «lo Strega dovrebbe andare solo ad un libro di qualità, non essere assegnato per effetto di pressioni».
Per il resto, reazioni seccate, come quella di Tullio De Mauro, presidente del comitato direttivo del premio che taglia corto: «Trevi ci mandi una lettera di dimissioni e ne prenderemo atto. I grandi editori sono la meta ambita di qualsiasi scrittore e in genere hanno la possibilità di selezionare meglio i loro autori. Non so cosa voglia fare Trevi, non ho ricevuto nessuna comunicazione da parte sua». Più caustico Alessandro Barbero, dimessosi con un anno di anticipo dal comitato direttivo per sostenere il libro di Aldo Busi: «Andreotti diceva: ci sono due generi di matti, quelli che vogliono essere Napoleone e quelli che vogliono risanare il bilancio delle ferrovie. Poi c’è chi vuole cambiare lo Strega. Questo premio rispecchia il mondo letterario italiano. Non sono le regole a non funzionare, ma la società letteraria». Mentre Stefano Petrocchi, coordinatore esecutivo della Fondazione Bellonci, assicura che «il fatto che siano stati candidati libri di qualità come quello di Trevi, Piperno e Nesi è il segno che il marketing non è il solo criterio di scelta».
E gli editori? Che cosa pensano quelli che, secondo le accuse di Trevi, condizionerebbero il risultato mercanteggiando voti e tessendo strategie incrociate fatte di telefonate? Silenzio assoluto da Rizzoli e Mondadori. Parla invece Stefano Mauri, grande capo Gems, arrivata l’anno scorso proprio con Qualcosa di scritto di Trevi a due punti dalla vittoria: «Mi sembra che dei passi siano stati fatti. Il voto telematico favorisce un rapporto più diretto tra pubblico e giuria. Certo però che, per vedere attuata del tutto la meritocrazia allo Strega, forse dovranno passare altri cento anni». Pessimista Raffaello Avanzini: «I giochi di potere allo Strega vanno al di là di quanto si possa immaginare, ma il premio non può prescindere dai gruppi editoriali e la battaglia del singolo contro il sistema non porta a nulla».
Newton Compton tenterà di aggiudicarsi un posto nella rosa dei candidati con Ilaria Beltramme, La società segreta deglieretici. Ernesto Franco, direttore editoriale Einaudi e giurato, non sembra stupito: «Non tutto è riducibile al mercato. La casa editrice non è né una fondazione culturale, né una finanziaria. È un’organizzazione ibrida in cui l’aspetto culturale e quello economico si legano. La qualità di un libro viene fuori anche da questo intreccio». E i piccoli, quelli che dalla “Spectre” dei grandi gruppi potrebbero risultare schiacciati? Ginevra Bompiani, editrice nottetempo e giurata, invita a guardare oltre: «Molte delle cose dette da Trevi sono giuste e anche risapute. Non è lo Strega il male del nostro paese. È un premio di scuderia, certo, ma le cose gravi stanno altrove. È una goccia in uno stagno».
Della giuria dei 400 Amici della Domenica fanno parte anche molti scrittori. Di diritto vi entrano i vincitori. Antonio Pennacchi, arrivato primo nel 2010 con Canale Mussolini(Mondadori), racconta così la sua esperienza: «Oggi sono tra i giurati e quando mi telefonano spiego che voto come mi pare, punto e basta. D’altra parte ho partecipato al premio in un anno sfavorevole per la Mondadori. Quell’anno decisero di portare il mio libro perché pensavano di perdere e invece ho vinto. Grazie a Mondadori, certo, ma anche conquistandomi dei voti fuori dal gruppo». Le accuse di Trevi suonano invece familiari a Domenico Starnone, ma lo scrittore, primo nel 2001 con Via Gemito (Feltrinelli) non individua facili vie d’uscita: «Il premio si vince sulla base della capacità di imporre il libro da parte degli editori. È sostanzialmente una gara tra editori. Onestamente, anche se il mondo dell’editoria è una guerra fra bande, non credo sia possibile una giuria estranea agli interessi editoriali».
Qualcuno però ha detto no allo Strega. Michela Murgia, per esempio, non ha accettato di entrare tra gli Amici della Domenica: «Il gioco di relazioni che si crea non tiene conto del valore del libro. Per me sottostare alle telefonate e alle pressioni sarebbe stato un massacro». Nicola Lagioia è autore Einaudi, direttore della collana Nichel di minimum fax e anche giurato, come risponde a Trevi?: «Ho sempre disatteso le telefonate che mi venivano fatte e non mi è successo niente. Per riformare il premio basterebbe che ogni singolo giurato scegliesse di non essere cortigiano. Ma la cortigianeria appartiene purtroppo per tradizione all’intellettuale italiano». C’è da dire che in questi ultimi anni delle riforme sono state fatte, dall’aggiunta dei voti dei 60 lettori forti selezionati dalle librerie indipendenti, fino all’introduzione quest’anno del voto elettronico al posto di quello via fax. Ma lo Strega è un risiko che vive anche grazie alle polemiche.
Repubblica Emanuele Trevi contro il più importante premio letterario italiano arriva da Inge Feltrinelli che anche da Mosca tiene a far sentire la sua voce. Ieri lo scrittore ha annunciato di volersi sospendere da giurato per dire basta alle pressioni e alle strategie degli editori che «si muovono seguendo esclusivamente i principi del marketing» e in cui «molti giurati sono stipendiati dagli stessi editori che poi chiedono loro il voto». La signora dell’editoria italiana è diretta: «La Mondadori detta legge», dice, «lo Strega dovrebbe andare solo ad un libro di qualità, non essere assegnato per effetto di pressioni».
Per il resto, reazioni seccate, come quella di Tullio De Mauro, presidente del comitato direttivo del premio che taglia corto: «Trevi ci mandi una lettera di dimissioni e ne prenderemo atto. I grandi editori sono la meta ambita di qualsiasi scrittore e in genere hanno la possibilità di selezionare meglio i loro autori. Non so cosa voglia fare Trevi, non ho ricevuto nessuna comunicazione da parte sua». Più caustico Alessandro Barbero, dimessosi con un anno di anticipo dal comitato direttivo per sostenere il libro di Aldo Busi: «Andreotti diceva: ci sono due generi di matti, quelli che vogliono essere Napoleone e quelli che vogliono risanare il bilancio delle ferrovie. Poi c’è chi vuole cambiare lo Strega. Questo premio rispecchia il mondo letterario italiano. Non sono le regole a non funzionare, ma la società letteraria». Mentre Stefano Petrocchi, coordinatore esecutivo della Fondazione Bellonci, assicura che «il fatto che siano stati candidati libri di qualità come quello di Trevi, Piperno e Nesi è il segno che il marketing non è il solo criterio di scelta».
E gli editori? Che cosa pensano quelli che, secondo le accuse di Trevi, condizionerebbero il risultato mercanteggiando voti e tessendo strategie incrociate fatte di telefonate? Silenzio assoluto da Rizzoli e Mondadori. Parla invece Stefano Mauri, grande capo Gems, arrivata l’anno scorso proprio con Qualcosa di scritto di Trevi a due punti dalla vittoria: «Mi sembra che dei passi siano stati fatti. Il voto telematico favorisce un rapporto più diretto tra pubblico e giuria. Certo però che, per vedere attuata del tutto la meritocrazia allo Strega, forse dovranno passare altri cento anni». Pessimista Raffaello Avanzini: «I giochi di potere allo Strega vanno al di là di quanto si possa immaginare, ma il premio non può prescindere dai gruppi editoriali e la battaglia del singolo contro il sistema non porta a nulla».
Newton Compton tenterà di aggiudicarsi un posto nella rosa dei candidati con Ilaria Beltramme, La società segreta deglieretici. Ernesto Franco, direttore editoriale Einaudi e giurato, non sembra stupito: «Non tutto è riducibile al mercato. La casa editrice non è né una fondazione culturale, né una finanziaria. È un’organizzazione ibrida in cui l’aspetto culturale e quello economico si legano. La qualità di un libro viene fuori anche da questo intreccio». E i piccoli, quelli che dalla “Spectre” dei grandi gruppi potrebbero risultare schiacciati? Ginevra Bompiani, editrice nottetempo e giurata, invita a guardare oltre: «Molte delle cose dette da Trevi sono giuste e anche risapute. Non è lo Strega il male del nostro paese. È un premio di scuderia, certo, ma le cose gravi stanno altrove. È una goccia in uno stagno».
Della giuria dei 400 Amici della Domenica fanno parte anche molti scrittori. Di diritto vi entrano i vincitori. Antonio Pennacchi, arrivato primo nel 2010 con Canale Mussolini(Mondadori), racconta così la sua esperienza: «Oggi sono tra i giurati e quando mi telefonano spiego che voto come mi pare, punto e basta. D’altra parte ho partecipato al premio in un anno sfavorevole per la Mondadori. Quell’anno decisero di portare il mio libro perché pensavano di perdere e invece ho vinto. Grazie a Mondadori, certo, ma anche conquistandomi dei voti fuori dal gruppo». Le accuse di Trevi suonano invece familiari a Domenico Starnone, ma lo scrittore, primo nel 2001 con Via Gemito (Feltrinelli) non individua facili vie d’uscita: «Il premio si vince sulla base della capacità di imporre il libro da parte degli editori. È sostanzialmente una gara tra editori. Onestamente, anche se il mondo dell’editoria è una guerra fra bande, non credo sia possibile una giuria estranea agli interessi editoriali».
Qualcuno però ha detto no allo Strega. Michela Murgia, per esempio, non ha accettato di entrare tra gli Amici della Domenica: «Il gioco di relazioni che si crea non tiene conto del valore del libro. Per me sottostare alle telefonate e alle pressioni sarebbe stato un massacro». Nicola Lagioia è autore Einaudi, direttore della collana Nichel di minimum fax e anche giurato, come risponde a Trevi?: «Ho sempre disatteso le telefonate che mi venivano fatte e non mi è successo niente. Per riformare il premio basterebbe che ogni singolo giurato scegliesse di non essere cortigiano. Ma la cortigianeria appartiene purtroppo per tradizione all’intellettuale italiano». C’è da dire che in questi ultimi anni delle riforme sono state fatte, dall’aggiunta dei voti dei 60 lettori forti selezionati dalle librerie indipendenti, fino all’introduzione quest’anno del voto elettronico al posto di quello via fax. Ma lo Strega è un risiko che vive anche grazie alle polemiche.
OMAGGIO A SIMONE CATTANEO
RispondiEliminaStanotte in chat ho arpionato una tipa.
Ogni volta il marito fa il turno di notte alle acciaierie, lei è sola e
io sono uno rapace.
Dopo aver raccontato un po’ di cazzate simili e prima di dirci i nomi
abbiamo acceso la cam. L’avrei guardata meglio in faccia
se già non fosse stata nuda: comunque non era uno di quei cessi
dove con qualche deca mi svuoto
quando mi sento pieno e ho voglia di esplodere. Nell’angolo basso del video
un marmocchio di forse dieci anni con l’iPod alle orecchie
ronfava metallico, inghiottito dal divano.
Alla fine ho inondato lo schermo centrando la mia tipa proprio sugli occhi
dai quali lo sperma trasparente ha cominciato a colare
come se lei si agitasse e piangesse. Invece godeva.
Non ricordo di aver mai riso tanto.
Carlo Bucoschi