venerdì 14 giugno 2013

Flatus vocis

Nei teatri d'oggidì e in tutte le situazioni pubbliche di rappresentazione (o presentazione, o oralità) quello che la parola ha perso in eloquenza ha guadagnato in amplificazione.
L'amplificazione microfonica delle voci è l'urlo del non significato, che però si immagina nel pieno della significanza. A chi sappia ascoltare, quelle voci monumentali e insieme casalinghe, dove il titanismo del risultato coincide con la remissività psicologica, esistenziale e politica di voci da tinello, che riescono a saturare lo spazio, a non lasciare la benché minima possibilità all'acusitica naturale di manifestarsi plasticamente, inviano una disperata richiesta d'aiuto: della parola contro il limite dell'insensibilità contemporanea. Possiamo immaginarcela come la lotta della parola contro il muro del suono; si sente che la parola sta per fuoriuscire, si intuisce la crepatura nell'amplificazione. Da quelle crepe potrebbe fuoriuscire il suono inarticolato delle mucose e della lingua e degli inghiottimenti e della saliva che si impasta: sarebbe già un annuncio di parola, o quantomeno la negazione della Non Parola dell'Amplificazione. A un certo livello di decibel ogni voce è totalmente altra da sé, tuttavia questa alterità rimane una possibilità non realizzata, quasi una nostaglia dell'ascoltatore, non si traduce in una realtà fattuale. Le voci casalinghe, oltre una certa soglia di decibel, si trasfigurano, ma tendono irrimediabilmente alla voce colonizzata dell'industria dello spettacolo: tutte le voci potenziate dal microfono tendono alla voce colonizzata della televisione, alla vocalità “superamericana” (dimensione imperialistica che penetra ogni cellula dell'immaginario contemporaneo). Se la parola rompesse il muro del suono non coglieremmo alcun “bang”; ma un silenzio che preparara la rinascita.
Il muro del suono viene rotto ogniqualvolta la voce rimane sola, coraggiosa zattera in mezzo alla tempesta. Quando la voce ha questo coraggio, la parola riprende forza. E' il coraggio della fragilità. Chi si ricorda che San Francesco concionò nella Piazza Maggiore di Bologna davanti a migliaia di persone? La forza della voce è la forza della parola dimenticata; e la forza della parola è la forza della voce quando accetta la propria fragilità e rifiuta l'amplificazione.
E' un rischio mortale per chi si fa strumento della voce. Perchè, come accadde a Zarathustra quando giunse al mercato e si rivolse agli uomini con la sua bruciante parola, e a voce nuda, il rischio è l'incomprensione e la derisione.

2 commenti:

  1. Vero, bello e triste, Franco.

    D.L.

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  2. Bello.
    Un passaggio mi colpisce molto: " A un certo livello di decibel ogni voce è totalmente altra da sé, tuttavia questa alterità rimane una possibilità non realizzata, quasi una nostaglia dell'ascoltatore".
    Devo rifletterci su.

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