Nel 2010 lessi "Condòmino. Storie per 36 interni" di Danilo Soscia. Il libro era uscito due anni prima.
Quella scrittura mi avvinse e stupì. Mi avvinse e stupì ancor più quando scoprii che Danilo - nato nel 1979 - aveva scritto "Condòmino" non ancora trentenne.
Era una maniera perentoria di scrivere, la sua: le parole e le immagini, sempre nette, mai casuali, aprivano continui spiragli sull'indicibile pur suscitando - nel contempo - una teoria di disegni sicuri, una materia tridimensionale, incandescente.
Ci siamo scritti, Danilo e io, in questi anni; e credo si sia stabilito un bel rapporto di stima reciproca.
Mesi fa ho avuto il privilegio di leggere per intero il suo romanzo inedito, "I funerali della scimmia. Parabole dei giorni tristi", di cui due brani (o meglio: parabole) appariranno sul n° 71 di Atelier, di imminente uscita.
Non voglio fare pubblicità ai "Funerali": sia perché non sono sicuro che Danilo sia alla ricerca di uno strillone, sia perché è già troppo il fracasso mediatico attorno alla letteratura, a discapito della letteratura stessa.
Voglio solo dire che reputo "I funerali" un libro eccellente, e la scrittura di Danilo Soscia una tra le più notevoli degli ultimi anni. Perciò, mi auguro che in tanti possano godere quanto prima del mio stesso privilegio.
"I funerali della scimmia. Parabole dei giorni tristi" comincia così:
Questo è il mondo, adorata scimmia.
Guardalo.
È la nostra casa che brucia.
È la strada che abbiamo attraversato insieme un milione di volte.
Nulla è stato portato in salvo.
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