venerdì 6 dicembre 2013

PROUSTIANA (14)


[sottovoce: la sola Recherche, me ne convinco sempre più, getta sulla letteratura futura un'ombra di almeno un secolo e lì dentro, è chiaro, puoi fare buone cose, ambiziose pure, ma sapendo che c'è quella cosa lì davanti a te. Se ci metti pure che in quegli anni si formava un triumvirato d'oro zecchino (Joyce e Kafka; se vogliamo farlo diventare quadrumvirato, ora che con Proust mi sti sta completando il cerchio, mettiamoci anche Musil, ma un pochetto defilato, però), allora diciamo che il cono d'ombra s'allunga; centocinquanta, duecento anni? Poi penso: Proust dice che ogni scrittore ricomincia da solo, niente può ostacolarlo, niente aiutarlo. Riscrive il suo modellino della realtà (id est romanzo). Magari ha ragione lui. O forse no, è solo falsa modestia.]

1 commento:

  1. Alla succitata cosmogonia in quanto universalità (ab origine?), qualità perennemente discussa, riconducibile a quel periodo letterario, per noi una sorta di età aurea, or che dibattiamo di strutture narrative in quanto tali, ahimè di trame più o meno al passo coi tempi, che non si dicano né auliche né classiche, lo voglia Iddio, onde navigar negli affanni contemporanei dimentichi del passato perché lo declama una corrente e corriva etichettatura, concediamole or dunque più vasta dimensione o semplicemente non poniamo confini (o gradini), ché nessuno abbia a dolersene né Robert né tantomeno Thomas (a mio modesto parere, non a spada tratta, sia beninteso).
    Tutto a partire da tal Friederich e quel germanesimo impositivo che di cultura e filosofia ne ebbe a riempir le pagine.
    (Un uomo solo nella notte)

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