mercoledì 28 marzo 2012

Il paese dei festival


Qualche giorno fa all'immancabile Radio Tre/ Fahreneit hanno aperto con la notizia di un grande evento che si terrà a Firenze in ottobre. Un festival che si chiamerà “Festival dell'inedito”. Ne parlavano per l'occasione Antonio Scurati e al telefono Giulio Mozzi.

Se ho capito bene l'idea è di far confluire i testi di chiunque sia in possesso di inediti e di farli leggere a degli scrittori affermati e anche a un comitato di lettori che sarebbero poi gli stessi scrittori inediti invitati. Si prevede di accettare un numero elevato di opere, fino a 200 o 300 diceva Scurati (“una mole di lavoro che mi spaventa”, aggiunge). Inoltre mi sembra di aver capito che poi ci sarà una selezione e forse un premio...

Dice grosso modo Scurati, che tanta è la gente che scrive ma sono pochissimi quelli che leggono; dunque un buon antidoto può essere far leggere gli stessi che mandano testi; fargli fare cioè l'esperienza di scrittore letto e di lettore degli scritti altrui. In questo modo, a detta del noto scrittore, non si rischia di parlare tutti azzerando le possibilità di ascolto, che è quanto accade nei blog letterari. Insomma, e per farla breve, detta così l'idea in sé sembra buona se non fosse che, come spesso ormai accade, si prende una buona idea e se ne fa un grande evento. Nella trasformazione da idea a grande evento ci sono dei passaggi. Il grande evento spesso nasce viziato o deforme. Rispetto alla onesta realizzazione di un'idea (che dura nel tempo e si dà tempo e dunque segue un percorso organico), il grande evento è uno scavatore in confronto a una paletta per bambini. Lo scavatore andrà anche più in profondità ma fa strage delle piccole vite che incoccia: allora bisogna decidere se vogliamo dare fiato alle piccole vite o preparare le fondamenta di un nuovo palazzo. Insomma, sento puzza di marketing dal titolo stesso dell'iniziativa “Festival dell'Inedito”. Tra l'altro l'Italia è il pasese dove i festival pullulano (almeno quanto i politici, che spesso ne sono diretti promotori...). Lo sapete che l'anno scorso dalle parti della Spezia (siamo in territorio tuo Claudio), ho visto un manifesto che reclamizzava un ”Festival dell'aria”? A quando un festival della dimenticanza, o dello spacco alla gonna, o del volto assonnato, o delle tazze del cesso? E poi: questo presentato da Scurati con tanta enfasi non è forse ciò che Atelier fa da 16 anni in tutta umiltà, con la sua, pardon, “paletta”, e la sua attenzione ai microorganismi, all'humus , al tempo lungo, al gioco, alla relazione tra giocanti ecc..., avendo intuito in tempi non sospetti la necessità di una simile impostazione?

7 commenti:

  1. Condivido tutto ciò che scrive Franco, soggiungendo che questo festival ha suscitato qui e là polemiche (un esempio: http://bookblister.com/2012/03/27/il-business-dellinedito-al-via-il-primo-festival-spenna-creativi/)

    p.s. Quando Franco parla di mio territorio, intende in senso geografico, sia chiaro!

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  2. Io scrivo come rappresentante dell’assolutamente inedito (il perché lo potete facilmente immaginare).
    Il “Festival della letteratura” pare una specie di gioco, di società o da tavolo? un Risiko letterario o ancor meglio un Monopoli, qualcosa che ha a che fare col compra e vendi, insomma.
    L’organizzazione prevede delle strutture piramidali (massoniche?) e capitani (kiplinghiani coraggiosi, magari! o del popolo, sapete quelli dei podestà e gonfalonieri, un guazzabuglio medievale per intenderci) dando un frizzo fantasy tanto di moda oggidì (secondo alcuni).
    Un bel passatempo per chi abbia 130 euro da buttare (di questi tempi!), chi passa alla seconda fase sono altri 400 + iva. Comunque non poi così tanti per quello che viene offerto sulla carta. In cambio una bella scheda di valutazione (la potrei anche scrivere da me), poi una postazione ben organizzata alla Leopolda (però! pensa un po’ che figurone con gli amici).
    Chi si ritiene uno scrittore serio, vero o verace, impegnato si direbbe, anche se alle prime armi, non dovrebbe cedere alle lusinghe, direte voi, ma uno assolutamente inedito, suvvia, un superbo sconosciuto cosa potrà mai saperne?
    Boh? Quasi quasi mi iscrivo, o no?

    p.s. se le mie provocazioni (bonarie s'intende) non generano reazioni, smetto di scrivere (sul blog!)

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  3. Infatti! Un superbo sconosciuto non ne saprà magari nulla e sarà indotto a partecipare dal pavesamento della nave in rada (o in stazione Leopolda) con tutte le luminarie accese e i nomi noti e lo spiegamento di forze mediatiche ecc ecc. Qui da noi c'è una benemerita iniziativa che propone di non accendere luminarie nei paesi e cittadine circostanti nel periodo natalizio - un segnale di sobrietà e di polemica verso lo spettacolo del Natale. E spegniamole queste luminarie della e sulla cultura! I politici ci vanno a braccetto e le finanziano perchè rappresentano l'aurea via mediana tra il popolare gretto e il colto raffinato, cioè il colto gretto (o colgret), e il popolare raffinato (poporaffi). Reazioni plausibili? Certo, se a uno che ormai ci è abituato gli spegni le luminarie all'inizio gli prenderà
    male; peggio, gli sembrerà che la vita di colpo sia diventata più triste e si incazzerà a morte perché gli hai rovinato la festa più bella dell'anno. Ma poi, dài e dài, dovrà alzare gli occhi al cielo e così si accorgerà che le stelle sulla capa ce le ha ancora; e se guardando le stelle resisterà a non farsi venire in mente una trasmissione della Clerici o di Alberto Angela sulla via lattea con interventi di Margherita Hack ed Enzo Bianchi, le canzoni di Moni Ovadia, le poesie della Merini lette da Lella Costa, l'antico spot della stella di negroni che vuol dire qualità rifatto da Ascanio Celestini, si accorgerà che quella roba lì sopra la sua testa è gratis ed è solo per lui. Chissà, allora forse gli passerà la voglia delle luminarie e della festa sulla nave in rada che sopra c'è scritto titanic...

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    1. (A.S.= Ante Scriptum...cazzo, Franco, questo tuo post è ispirato davvero. Sentito e bello energetico) Scriptum = siamo nel paese collodiano dei gattivolpeschi avventurieri, dov'è la novità? Quando in un post precedente si accenna al self-publishing dei colossi edioriali il milieu in cui navighiamo è quello. L'inedito è un affare enorme. La speculazione è ovvia. In questo io non ci trovo nulla di male; in un rapporto adulto ciascuno sceglie i propri percorsi (pagare per pubblicare/promuoversi, dimenticare di averlo fatto in giovinezza, non pagare, prostituirsi in altro modo, sottrarsi all'agone, marginalizzarsi). Quello che però è interessante in iniziative di questo tipo (considerate assieme al paccotto delle agenzie letterarie, delle scuole di scrittura creativa, dei premiuncoli illetterati e compagnia becerando) è che alla ovvia massificazione dei consumi (letterari) che generano tutte queste ipertrofie patologiche, intermediazioni ruffianesche fra il lettore e l'autore, si sostituisce il concetto di fatica a quello di fortuna (id est: botta di culo). Come a dire: ti pesco nel mare magno dell'informe e ti creo o ti lascio creare. Un po' come nei talent televisivi. Il signor Nemo che diventa Mister Universo in un nanosecondo. La logica della fatica letteraria, la famigerato gavetta, il costruirsi reti di relazioni difficili, complesse (come quella della nostra rivista ad esempio) il lavorio silenziato, operoso tutto questo passa in second'ordine. Il successo immediato, galattico; di contro la fatica della costruzione di un consenso per vie problematiche, lunghe, difficili. Ti offro una ribalta luminosa e la collettiva illusione che se la dea bendata ti tocca o il Giove Letteratico del momento, la tua vita cambia. E' una diversa, perversa, corrutiva dimensione del tempo letterario e dell'umanità letteraria che lo presiede.

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  4. Il primo festival per i lettori. Di manoscritti inediti. E per gli scrittori dei medesimi. Bisogna ammetterlo: è geniale. E da un'idea di quanto sia enorme il pubblico degli aspiranti pubblicanti (non degli scriventi, che sarebbe cosa sobria e giusta).

    Diverso/Pereverso/Corruttivo mi sembra poco...

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  5. Lo scetticismo a priori è un atteggiamento malato, quindi vedrò di tenermene alla larga, ma il ragionamento di Franco non fa una grinza (anzi, devo ammetterlo, mi ha trascinato: vive). C'è bisogno di un festival per leggere un libro in più? Passava ora su Rai 5 una replica di Philippe Daverio, un altro che spettacolarizzando l'arte campa, anche se il suo taglio è ben diverso (c'è più gusto, almeno). Bene, riproponeva una vecchia intervista a Soldati, roba di sessant'anni fa, e Soldati diceva, con una innocenza e un candore disarmanti, al punto da poter sembrare stupidi: "Se gli italiani leggessero più libri molti dei problemi del nostro paese, soprattutto nei campi che poco o niente hanno a che fare con la cultura, si risolverebbero." (Postilla personale: grandi* libri, il perché non credo sia necessario raccontarvelo).
    Dove voglio arrivare? Non lo so. Ma mi sento più propenso a annoverare iniziative del genere alla voce "problemi" che non a quella "soluzioni". Se è necessaria un'iniziativa una tantum perché si legga significa che il problema è a monte, cioè che il nostro tempo produce non-lettori. A monte bisognerebbe quindi intervenire: sui mezzi d'informazione, a scuola, all'università (parlo per esperienza: per l'esame di letteratura italiana non ho dovuto portare neanche un libro di lettura, e della Commedia erano richiesti 10 canti. No comment).
    Se a me che studio lettere in una delle migliori università del paese non è richiesta la lettura integrale della divina commedia, come possiamo pretendere che il lavoratore medio avvicini della letteratura degna di questo nome?
    Lancia in resta, i mulini a vento ci aspettano.

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  6. Edoardo mi fai venire in mente una boutade dello stesso Soldati, il quale una volta ha detto più o meno così: "e basta parlare di cultura, che è una cosa che sa anche di deretano, parliamo piuttosto di Civiltà". Ma guarda tu i paradossi della vita. Una volta urlai questa frase nel bel mezzo di una cena di gala nella quale ci avevano chiesto di imbastire un'azione teatrale dedicata a Soldati. Mentre gli avventori entravano nel ristorante e si sistemavano ai tavoli io e un'attrice abbiamo continuato a ballare un valzer nel centro della sala. Poi, quando tutti si sono sistemati, la musica si è interrotta di colpo e mi sono messo a dire, urlando, questa frase rivolgendola direttamente ai presenti. C'è stato un grande applauso. Dove sta il paradosso? Che in quella cena c'era tutto il gotha del premio Grinzane-Cavour con la sua variopinta corte e anzi mi sembra proprio che il più convinto nel battere le mani fosse proprio il prof Piero Soria...

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