mercoledì 6 giugno 2012

De Ethologia Litteratica (addendum)

Sono ambasciato. Sì, una questioncella mi ambascia. Il letterato, l'uomo di lettere, scrivente-leggente, usa le parole, le cura, le accudisce, le seleziona. Questo è esercizio di amore. Per le parole. Rispetto. Ma è anche uomo, quotidiano, reale ecc. e le parole le gestisce per altri usi, più pratici, spesso frettolosi. Talvolta sgradevoli. Ecco, voglio essere qui sgradevole, prima di tutto con me stesso. Il letterato, da che mondo è mondo, è buon amministratore dell'immagine sua. La distilla (diari, lettere sono quanto di più insincero possa esserci, soprattutto quando dicono il vero) e quando si offre pubblicamente (tralasciando il sottogenere rampicans di cui mio cugino ha già parlato qui) bada a effiggiare di sé un'immagine abbastanza accettabile, insomma punta a essere gradevole. Di questi tempi, poi, l'educazione letteraria conta, eccome. Magari le sgradevolezze le si consegnano alla finzione, come una carta moschicida. Diciamo che essere letteratico, poetico anche nella condotta è preferibile. Coi letterati consimili, presunti o presuntosi tali, è buona norma non sbracarsi troppo, almeno all'inizio. Basta, vado al sodo.
Primo esempio. Non accetto che i miei studenti vadano fuori dal rigo, è mio ufficio d'altronde. Neppure possono accennare l'incipit di un: cazzo, vaffanculo, stronzo, figlio di puttana, pezzo di merda, rotto in culo, grandissima troia, che un solo sguardo e li stronco, fino a sanzionarli, se il caso. A una di quelle pubbliche presentazioni libracee, le terribili 'letture dei poeti in agosto' di cui parlava già Giovenale,  a me non è mai capitato, purtroppo!, di vedere l'oratore intercalare qua e là qualche sproloquio anzidetto, senza intento aggressivo per carità, ma solo così per adlectio retorica, così come in qualche cena amicale, confidenziale, fra letterati, poeti, artisti (frequentate pochissime, d'altronde; quindi posso aver frequentato quelle sbagliate). Eppure io sono molto, molto volgare; parolaccio a dismisura, turpiloquio come sintesi cromatica metaforica spesso assai più esaustiva del termine corrispondente, e quando sono particolarmente ispirato bestemmio con devozione, sì da far tracollare il pantheon da Ammon-Ra a scendere. Compatitemi, psicanalizzatemi pure, ma il punto è: sarò bipolare, ergo non sono un letterato DOC?
Secondo esempio. L'igiene lessicale come igiene concettuale. Sono da molto tempo a favore del matrimonio omosessuale, ma se mi devo riferire a una coppia gay, a un tizio incrociato per la strada a sbaciucchiarsi col suo compagno o alla categoria in genere non dico: quell'omosessuale, gay, ma "quer frocio(ne), ricchione" (ancora non mi aduso al termine meneghino culattone). L'elenco delle sguaiataggini politically uncorrect potrebbe proseguire in questo campo per traiettorie, diciamo, 'ideologiche' tarate sul gusto personale.
Mio cugino, quell'anima benedettina di Fra Daniello, mi dice che la vera volgarità è la menzogna, l'ipocrisia. La doppiezza incognita. Ma non mi convince. Mi sa che farò una capatina ad Abbiategrasso da lui, per farmi esorcizzare. 

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