domenica 15 luglio 2012

Domandina-domandissima

L'argomento, naturalmente, spalancherebbe abissi, ma provo a esprimervelo con elementarità da dì di festa.
Chiunque scriva sa che ogni tanto succede un miracolo: le parole, quelle davvero giuste, occupano al volo la pagina, e il risultato convince del tutto e sempre; rileggendosi a distanza di minuti o a distanza di anni.
Quei miracoli, però, sono rarissimi. Il resto del tempo in cui scriviamo, torniamo a fare i bravi scrittori e nulla più. Con mestiere, sensibilità, gusto, cultura e financo spavalderia, certo. Ma i miracoli, quelle due-tre parole che assieme si caricano di un'energia, vorrei dire di una necessità, tale da far bruciare gli occhi a chi legge, beh: quelli sono altra cosa.
Da qui, due domande.
Cosa succede, in quegli attimi, che non succede in tutto il restante tempo della scrittura?
E poi, perché non abbiamo il coraggio di cestinare tutto ciò che non proviene da quelle rare illuminazioni?

5 commenti:

  1. Bella domanda. Provo a rispondere secondo le mie sensazioni. In quegli attimi succede che riusciamo ad annullare il nostro io e farlo fluire con quello specchio del tutto che è il linguaggio, che riassume il suo potere (o potenziale) fino a diventare autonomo e creare Bellezza semplicemente, come fa la natura.

    Non abbiamo il coraggio di cestinare il resto perché, al contrario, il nostro io prende il sopravvento. Narcisismo, o forse paura della morte.

    Complimenti per il Blog. La rivista arriva a Roma?

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    1. La Biblioteca a Roma arriva alla Biblioteca Nazionale (oltre a decine e decine di indirizzi privati), ma il modo più semplice per visionarla è chiedere un numero scrivendo alla redazione o, per fare ancora prima, scrivere direttamente a me: ilcielodimarte@tiscali.it.
      Andrea Temporelli

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    2. Mi persuade, caro Ant. Mar., l'idea che dietro l'incapacità di trattenere la parola ci sia la paura della morte.
      Sui rari miracoli, invece, chissà (d'altronde i miracoli mica si possono significar per verba). Però sento che due paroline, onestà e concentrazione, in qualche misura c'entrano.

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  2. In quegli attimi cosa succede? Ah, saperlo. La mia risposta è che c'è qualcos'altro. Ma credo sia anche difficile rendersene conto, quando accade. Un "miracolo", cioè un geyser di verità sulla pagina, ha anche bisogno di circolare ed essere compreso per prendere vita, altrimenti muore ripiegato su se stesso. Tanti miracoli saranno finiti cancellati da scrittori non in grado di riconoscerli come tali. Anche per questo c'è tanto bisogno di confrontarsi. Voi che ne dite? Leggersi non è la prima cosa?
    Alla seconda domanda, più che rispondere, mi viene da reagire; perché il vero, grande scrittore quando scrive fuffa se ne accorge e cancella, gli ci volessero anche anni di revisioni. Per questo l'intervista ad Ammaniti sull'ultimo Tuttolibri l'ho trovata così desolate; provate a leggerla e ditemi se non avete l'impressione che manchi totalmente lo scavo su se stessi.
    Poi c'è il discorso delle varie gradazioni di fuffa, ma le librerie bisognerà pur riempirle, no?

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  3. Con questo sonetto, che pone le stesse questioni dell'articolo, Alfieri apre la sua raccolta di rime:

    Tosto ch'io giungo in solitaria riva,
    Quanto a me si appresenta, o poggio , o piano,
    O selva, o mormorio d'acque lontano,
    Tutto a prova mi accende e vuol ch'io scriva.

    Eppur, non sempre avvampa in fiamma viva
    Del par la mente; onde, avvien poi , che vano
    Spesso è il mio carme , e che fors' anco è insano
    Quasi d'uom che abbajando in rime viva.

    Muto, deh pur, come di lingua il sono,
    Foss'io di penna! o al buon Vulcan sapessi
    II neonato Sonetto offrire in dono!

    Noi siam ben tutti appieno in ciò gli stessi
    L’ultimo parto, ci par sempre il buono:
    ma il precedente pure arder non dessi.

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