Per le
strade solitamente ingombre del traffico che dall'alto novarese
fluisce verso la cittadina di Romagnano Sesia e da lì a Novara e
alla Valsesia, alle 7 di sera della domenica di Pasqua non fila
neanche una bicicletta e gli unici pedoni che incontri sono uomini, e
qualche ragazza, inquietamente seduti a tavolini che chiudono lo
spazio residuo lasciato libero da lunghe transenne, poste a
sbarramento di tutti gli accessi al borgo storico. Ogni tavolino
fonda la propria autorità, oltre che su una funzione informativa e
d'accoglienza, sul fatto d'innalzare a vista d'occhio – anche
d'occhio miope – la richiesta che in fondo ogni lavoro ben fatto
eleva legittimamente a chi si appresti a goderne il frutto: il
cartello è lì, bene in vista, decisamente assertivo, monito ai
distratti e ai forzati delle sagre qualsivoglia basta che siano
gratuite: “Ingresso € 8. Gratuito ai bambini sotto i 12 anni”.
(Lasciare ai bambini l'illusione che solo alcune cose non abbiano un
costo è una tattica pedagogica per rendegli meno traumatica la
scoperta che tutto ha un prezzo? Può darsi; ma a me sembra che quel
cartello richiami lo spettatore a una sua precisa
responsabilità; troppo spesso infatti la gratuità dispone il
fruitore al disprezzo, o quantomeno alla scarsa considerazione
dell'oggetto offerto...)
“A
che ora comincia la rappresentazione?” chiedo a uno degli uomini
seduti al tavolino; “alle 8 e mezza”, mi risponde. E basta. Di
poche parole il personale volontario con targhette di riconoscimento
appuntate ai taschini dei gilet arancione; di poche parole anche
l'agente del corpo forestale dello stato che poco prima, all'ingresso
del paese, sulla strada statale, sbarrava con transenna e auto di
traverso uno degli accessi al centro, e che alla domanda “dove si
va per il venerdi santo?” risponde in un unico fiato “per di là
si riallacci la cintura signora”, rivolto a mia moglie che, con una
certa delicatezza sua propria, sempre sottoposta al rischio di
rimanere totalmente incompresa, si era slacciata la sicurezza per
sporgersi maggiormente verso l'agente ed evitare così che si
frapponessero troppi metri tra la nostra macchina e la sua. Ma una
volta riallacciata la cintura e rientrati nel flusso stradale, “per
di là” ha perso di colpo ogni significato: questo vuol dire che
dovrò tirare a indovinare e imboccare la prima strada che mi ispira.
Così anche quello scarno “alle 8 e mezza”, scandito ora
dall'omino al tavolo, non mi basta, ma non avendo il coraggio di fare
un'altra domanda - anche perché nel frattempo il mio uomo si è
rivolto allo sbalordito guidatore di un'auto materializzatasi per
incanto dall'asfalto deserto e gli dice quasi urlando “vadi via,
vadi di là” - mi sposto al tavolino di un altro punto d'accesso,
e lì chiedo a una ragazza: “da dove parte il corteo?” . “Da
qui”, mi risponde con un sorriso forzato passandomi un depliant
informativo per il quale vorrei tanto ringraziare se non fosse che
una maschera dura le scancella di colpo il sorriso dal volto, il che
mi consiglia di evitare altre parole e di comprare, piuttosto, i
biglietti.
Pago,
prendo i tagliandi, entro nell'area deputata – un parcheggio a
prato - dove faccio in tempo a vedere un carro attrezzi caricare e
portarsi via un'automobile solitaria chiusa nel proprio mutismo di
fronte al caragnare del segnale acustico sparato dal carro attrezzi;
dopodiché tutto tace e poco si muove nello spiazzo che contiene il
palcoscenico: un'ampio prato dove campeggia un villone in stile
neoclassico un tempo convitto con tutte le sue stuccature e targhe ad
memoriam ben in vista; e tutto tace sul palcoscenico, dove posa un
lungo e stretto tavolone coperto da una tovaglia bianca di tela
grezza. Fra poco due uomini, uno con barba e incedere montanarino e
uno più giovane con barbetta modellata secondo le ultime grida della
moda azzeccagarbugli che regna nel guazzabuglio del gusto
contemporaneo, entreranno in scena ad apparecchiare la scarna
tavolona con ciotole e tonde pan-focacce. Ma prima vedo il palchetto
riservato al service audio-luci animarsi di led, e poi uomini
indaffarati munirsi di super telescopi fotografici o bazooka del
dettaglio che a tracolla o su treppiedi vengono caricati di
aspettative e desideri, tanto che qualcuno si avvicina a chiedere
dettagli tecnici. Ed ecco i due uomini entrare in scena: il montanaro
ha una bella barba da profeta-patriarca, e l'aria intelligentemente
torpida di chi reagisce all'emozione con rallentamento voluto di
tutti i movimenti. L'altro invece, il più giovane, non trattiene un
tremore nel gestire e tradisce una leggera esitazione nel muoversi;
ma il profeta lo guarda fermo, e dopo aver terminato di sistemare la
tavola gli fa cenno di avviarsi all'uscita. Sono due Apostoli con
tunica e saldali - uno, Pietro; l'altro, non ho capito - e si
preparano alla recita della 257esima edizione del Venerdi Santo, una
sacra rappresentazione che a Romagnano fanno, pare ininterrottamente,
dal 1730 coinvolgendo quest'anno più di 300 abitanti del paese a far
da comparse e attori e seminando scene in vari luoghi deputati -
scelti devo dire assai bene. (continua?)
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RispondiEliminaIl memoriale esercizio che tu e D.L. (in un precedente post) avete testé ravvivato sia pure con intenti, pigli e appigli diversi, accompagna una sostanziale rinascita narrativa del blog.
RispondiEliminaL’avventuroso intrico, la disamina particolare, con dipanatura e sbroglio contestuale, ben s’adattano al resoconto d’autore.
D’altronde ci attanaglia sempre l’inquietudine, il dubbio (amletico?) di fronte a una rappresentazione teatrale: è quello che cerchiamo o vogliamo? potremmo farne a meno o dovremmo orientare la scelta su qualcosa di alternativo?
Non basta l’argomento, il tema da preferire o scegliere, a ciò si aggiungono le variabili d’ambiente (le difficoltà del luogo), le problematiche esistenziali (anche ottenere le giuste informazioni da neghittosi personaggi inerisce la sfera dei triboli).
Ci si chiede insomma (o più semplicemente) se lo spettacolo sarà all’altezza delle aspettative.
Non sta certo ai lettori decidere che si debba continuare o no su questo passo: noi ci affidiamo esclusivamente alla prosperosa vena o compiacente volontà degli autori (attori?).
Sto scrivendo la seconda parte, gentile Marco, nella quale mi sto ponendo proprio il problema dell'altezza delle aspettative con cui uno va a vedere uno spettacolo, ancorchè, in questo caso, molto sui generis...
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