mercoledì 19 giugno 2013

Gente di Milano - Milan people

Proprio domenica. Dovevo andare a Parigi, poi a Firenze, infine: Milano. Una volta tanto, meglio delle foreste nelle quali sto rintanato di solito. Palazzo Reale: tre mostre. Una su Modigliani, una sul fotografo Berengo Gardin, un'altra su Nereo Rocco. Barrare il nome che non c'entra nulla. Insomma, salgo da Berengo Gardin. Mi fermo più a lungo del dovuto in alcune sale, che precedono quelle dedicate alla mostra, ad ammirarne dipinti, arazzi, tappezzerie, lampadari. Quando arrivo alla maschera è già passata mezz'ora; bene, tutto tempo guadagnato, penso. Visto che non ho niente da fare posso godermi anche le evoluzioni della polvere nell'aria tagliata da quel raggio di luce così pomeridiano; o l'effetto che fa lo spiraglio della porta chiusa male con quel suo nero misterioso immerso nella messe di colori di porta, stipite e tappezzerie dintorno. Posso finalmente sognare, come si sente dire a volte a certi poeti, e per sognare veramente mi basta poco: infatti sto almeno dieci minuti ritto in piedi davanti alla tappezzeria azzurra di seta damascata della sala settecentesca: non so perché ma quel colore mi riempie di una strana gioia. Poi lentamente mi stacco e incontro, dopo pochi passi, la maschera che dal divanetto su cui sta seduta allunga una mano per prendere il biglietto che tengo in mano. Rimango stupito; pensavo fosse un visitatore stanco. E' vero, aveva la marsina e i polsini da guardia museale, ma al momento non ci ho fatto caso. Ad ogni modo faceva bene a stare seduto. La mostra era deserta, tolte quelle cinque o sei persone che giravano immancabilmente intorno alle stesse foto che volevo guardare io. Gran belle foto, del resto. Una sezione è intitolata “Gente di Milano”: si vedono delle cose da straordinario quotidiano. Musi musetti ceffi zigomature bocche nasini canappie mascelle occhi occhi occhi mani capigliature cotonate impomatate, abbigliamenti svasati, occhialoni. Un'Italia scomparsa, dagli sguardi vividi, quasi fin troppo vivi, come quello di alcuni immigrati meridionali ritratti, alla fine degli ann '50, alla stazione Centrale forse dopo un viaggio notturno da Giù. Perfettamente rasati e pettinati, e con un'energia nel portamento dalla quale si vede l'abitudine al lavoro duro e alla dignità. L'ultima foto che ritrae una donna vestita di nero col fazzoletto in capo ritta in piedi accanto a una incastellatura di valigie non più chiuse dallo spago ma da qualche fibbia è del 1977. Mica tanto tempo fa. L'accostamento delle foto è all'insegna del contrasto a volte stridente tra paesaggi umani di poveri cristi e esibizione del lusso, di cui l'esempio più ambivalente per lo strano impasto di straniamento, ridicolo e tracotanza che ti arriva è una foto che ritrae un gruppo di nobili inglesi (non sono evidentemenete più nella sezione “Gente di Milano”) in un parcheggio di auto da favola, seduti dietro alla propria rolls royce dal cui baule aperto un maggiordomo vestito di tutto punto sta estraendo una bottiglia di vino che mostra al gruppetto - 4 donne con cappellini enormi e un uomo in tight – sistemato intorno a un tavolino da pic nic, seduto su delle sedie da pic nic non molto diverse da quelle comuni, mentre dall'altro lato un secondo maggiordomo sembra si stia informando dall'uomo seminascosto dalla donna al suo fianco che cosa desidera per pranzo: “Milord, desidera paté di fegato di quelli che guardando questa foto gli viene una rabbia da buttar giù il quadro?”. No, per carità: sia lodato il Berengo Gardin che ha fatto stridere queste contraddizioni l'una contro l'altra con un gran gusto della dissonanza da musica contemporanea. Un grande, non c'è dubbio.

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