Uno fra i vantaggi di starsene per una decina di giorni all'estero? Non doversi sorbire le querimonie e le gazzarrucce nostrane sui quotidiani. Durante questo mio soggiorno bavarese una delle belle fortune che ti capitano è la sera, pur stracco e cottissimo per il girovagare diurno fra residenze e castelli, lasciti mostruosamente potenti di quel pazzo fanciullesco di Ludwig e amenità di birrerie storiche fra laghi e giardini monacensi, è quello di stravaccarsi a leggere un po' di quotidiani internazionali nella hall. Dalla Frankfurter alla Suddeutsche Zeitung, per quel poco di tedesco di cui dispongo, apprendi le difficoltà economiche e le corruttele del patron del Bayern f.c. (sono a digiuno totale di calcio, perdonerete), lo sguardo sbieco sull'Italia degli odiatori di orango; le vicende del povero Trayvon te le dettaglia con dati e statistiche formidabili sia il Time sia il Financial Times (che tra parentesi ha un inserto culturale simile a quello del Sole 24 ore; chi avrà copiato chi?). Ma soprattutto ritrovi il piacere di goderti quel gran quotidiano che è Le Monde, il più bello secondo me in assoluto fra quelli che ti capitano di leggere: per i suoi inserti culturali, ma soprattutto per quello sguardo sul mondo che nessuna gazzetta italiota potrà mai avere; inizia infatti prima con focus specifici sull'estero poi passa alle cronache di Francia. Ve ne seleziono due di novelle, che ti fanno pensare. Almeno a me sì.
Prima novella
Quattro belle paginate, interviste e via scrivendo, su una pandemonio scoppiato all'interno del mondo teatrale. La ministra della cultura - non ricordo il nome - ha avanzato una proposta traumatica: si sa che in Francia il sostegno pubblico al teatro è un fiorellone all'occhiello di ciascun governo e di tutta la tradizione statuale d'oltralpe, ma un problema comune col nostro è l'incancrenirsi del culo sulla poltrona da parte dei direttori degli stabili (lì chiamati Centri Drammaturgici Nazionali). La proposta è: massimo tre mandati, in casi speciali quattro, poi via. Alcuni registi applaudono, altri sostengono che il governo non deve manovrare simili decisioni, perché significherebbe spostare d'ufficio qualcuno che sta lavorando bene, perdere potenzialità e risorse. Altri sostengono la pratica dell'affiancamento, inaugurata del direttore dello stabile di Nizza: il vecchio si mette vicino un giovincello (attore o regista) per farsi gradualmente sostituire; per alcuni un modo elegante per rimanere al proprio posto senza troppo strepito. Comunque se ne parla: e in Italia che succederebbe?
Seconda novella
Il genere letterario dell'autofiction dilaga da almeno un decennio. Non lo conosco se non per annusate compulsive in qualche libreria; poco mi entusiasma per il suo essere una derivazione ombelicale dell'autobiografia senza monumentalità, nello speciale di Le Monde definito proprio un'autobiografia perenne. Ma la moda può anche produrre buoni risultati, certo. Quello che non pensavo è che il conio di tale termine fosse datato 1977: lo scrittore Serge Doubrovsky nello scrivere la quarta del suo romanzo "Figli", fortemente autobiografico e sperimentale, lo coniò senza sapere di aver pioneristicamente nominato un genere letterario oggi dilagante. Negli anni '80 il romanzo passò sotto silenzio; poi quella parolina magica cominciò a permeare di sé il tessuto letterario dalla metà degli anni novanta e diluvia oggi dal primo decennio del nuovo secolo. Gli autofictionari spesseggiano in Francia, Italia, Germania, Olanda, Spagna, Americhe e - udite udite - Antille, Africa e Iran compresi. Poco male; anche il romanticismo infettò dalla Germania (e in misura diversa dall'Inghilterra) l'allora orbe conosciuto. In Francia però genera pure carta bollata: l'editore Flammarion e un suo autore hanno dovuto sborsare 40.000 euro a una ex perché si è vista riconosciuta in uno dei personaggi e l'editore Laffont ha pagato 10.000 al figlio di un suo autore citato nel libro come alcolista e cocainomane. E se succedesse pure in Italia?
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