sabato 5 ottobre 2013

Wallace and I


Allora: David Foster Wallace.
Di lui non ho mai letto niente per almeno due motivi.
Primo: ha la facies troppo, ma davvero troppo, da statunitense.
Secondo: siccome pare che non si possa nominarlo senza giustapporgli l'aggettivo geniale (o il sostantivo genio), aggettivo e sostantivo che io applico a Omero, Dante, Cervantes, Shakespeare, Dostoesvkij e pochi altri, non ho mai letto Wallace per evitargli paragoni impietosi.
Ma in questi ultimi giorni, per diversi motivi, il suo nome mi sta rimbalzando di continuo contro.
Per cui, siccome ricordo che tra i redattori (Edo?) e tra gli amici di Atelier ci sono alcuni estimatori di DFW, vi domando: vi va di estirpare questo mio turpe preconcetto, e per esempio di consigliarmi un suo testo (possibilmente inferiore alle milleduecento pagine) per iniziare?

Vado a vedere a che punto è la zuccherina del vino vendemmiato da poco, e torno.


5 commenti:

  1. In una generazione in sovraproduzione totale emerge di gran lunga per brillantezza, complessità di articolazione del pensiero, intelligenza e arguzia. Da lì a chiamarlo genio, da parte di chi non rumina troppo spesso gli empirei citati da te, il passo è molto breve e, secondo me, giustificato, o quantomeno giustificabile.

    Infinite Jest per me rimane un capolavoro, poi fate voi. Il vero Wallace, Claudio, purtroppo per le 1200 pagine (più note narrative), è quello. Il tempo dirà chi ci ha ragione, tra le masse intellettualmente medio-alte che lo divinizzano e gli intellettuali che un po' spocchiosamente lo snobbano, pur con ottime ragioni. La verità è un compromesso, trovo. Perché Wallace ha dei limiti, inutile negarlo. Li ha in qualità, perché dà l'impressione di lasciare sempre un velo tra sé e il lettore, come per tutelare la propria solitudine e la propria arguzia sorniona, ma certamente è il genio della quantità, e a suo modo la sovrabbondanza quantitativa e arguta diventa un altro tipo di qualità, letterariamente trascinante (o fastidiosa, se non sei disposto a buttarti adolescentescamente sul testo). Ma sempre di qualità si tratta. Negarlo è spocchia.

    Devi vedere Infinite Jest nel contesto di un sovraccarico di connessioni, relazioni e allacci neurali: in questo, per me, è il capolavoro di un'epoca, che già tramonta (l'epoca, non il romanzo [questa parentesi è un esempio dello stile di Wallace: il ragionamento è così articolato che perde compattezza per l'ascoltatore, e lo scrittore interviene a specificarne elementi con degli incisi che rivelano sì la padronanza totale del testo, ma anche la distanza minima, ma non colmabile, tra autore e materia espressa]).

    Puoi leggere i racconti/romanzi brevi di Oblio. Anzi, fallo. Il mio ricordo di lettura comincia a essere sbiadito (più di tre anni fa), ma sta sbiadendo molto meno di quello d'altro che ho letto allora. Ricordo quanto mi squassarono Caro vecchio neon, L'anima non è una fucina e Un altro pioniere, lì contenuti. Sarà stata la congiunzione astrale, l'autore giusto al momento giusto nell'estate dei 18 anni, ma riprendendolo ora trovo la qualità intatta. Certo, tieni conto che Oblio sta tre o quattro spanne sotto Infinite Jest, perché è narrativa più tradizionalmente misurata - anche se originale, a colte sperimentale -, frutto di un periodo più maturo e consapevole. Quindi, Wallace è IJ e IJ è Wallace, come Cervantes è il Don Chisciotte (si intenda questo paragone non come accoppiamento qualitativo, ma come rendering della relazione autore-opera).

    Oppure, se vuoi farti due risate intelligenti e iperconsapevoli, inizia leggendoti Una cosa divertente che non farò mai più. Piccolo miracolo di leggerezza reportagistica.

    Nessun altro?

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    1. Caro Edo,
      grazie della generosissima nota, di cui farò tesoro.

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  2. Uh, non ho tempo per una risposta articolata, perché io non sono tra quelli che attualmente considera DFW un genio, ma un grande nel contesto attuale, sì. Forse è ancora un po' come un vino novello, un po' troppo fermentante. Per misurare bene questa montagna, in relazione al resto, bisognerà prendere le distanze. Tra l'altro, allo stato attuale a me non pare un genio nemmeno Dostoevskij, a dirla tutta.
    AT

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  3. Vai via, AT, qui l'iconoclasta sono io.

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  4. ho provato infinite jest, ho provato la ragazza dai capelli strani, ho provato una cosa divertente che non farò mai più (è quello della crociera, vero?), però non ce l'ho fatta. mio limite, lo so (un po' come quando leggo zanzotto: è sempre un mio limite, s'intende). ciao! Riccardo

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