Santarcangelo
dei Teatri, che ha inaugurato il 13 luglio l'edizione n. 42, è il
festival teatrale di ricerca più longevo d'Italia. Nacque nel 1971
come festival del “teatro in piazza” quando teatro in piazza non
significava più (e non ancora – perchè i vecchi vizi tornano con
più forza delle antiche virtù), montare l'equivalente di un intero
teatro all'italiana all'aperto, e il concetto di “piazza”
insisteva più su un'idea di centralità fisica e di anima di quel
luogo, così tipico delle nostre città, nella vita dei cittadini; e
dunque teatro in piazza voleva dire teatro nel cuore della polis,
teatro che si interroga sul presente, che si
fa
presente, che interroga la contemporaneità, la sfida, la critica, la
sbeffeggia, la dialettizza. In quegli anni l'orribile termine
“location” non aveva ancora preso piede a significare luoghi che
non hanno anima se non per fungere da cornice ad un “evento”
(altra parola sfigurata dalla prassi linguistica di questi ultimi
anni), inaugurando il vizio mentale di sostituire la sostanza con la
confezione, il progetto artistico con la compilation, l'identità
culturale che si basa sulla differenza con l'imperante mainstream del
marketing territoriale dove si diluiscono le differenze in nome
dell'appetibilità turistica. Oggi lo slogan “piccolo è bello”
che fonda da sempre il primato artigianale dell'impresa culturale è
zittito a gran voce da quell'altro che proclama il primato
inviolabile della visibilità massmediatica. Del resto, i festival
teatrali in Italia prima di Santarcangelo, tranne qualche rara
eccezione, erano luoghi dove si estenuava - in una dimensione
vacanziera e vagamente disimpegnata - la macchina da guerra delle
stagioni teatrali, specchio dell'egemonia culturale che ormai i
Teatri Stabili italiani in fase di normalizzazione avevano saldamente
istituito, benché nati in ben altra temperie culturale, e cioè
nell'effervescenza del secondo dopoguerra, dal pragmatismo visionario
di un Paolo Grassi. Santarcangelo poneva al centro la piazza non come
“location” ma come luogo dove far nascere
teatro,
dotandolo di una vita più prossima alla società di quanto non
avvenisse nelle sale vellutate e oscure dei teatri cittadini. Nasceva
fuori dalle aree metropolitane, in provincia, quel festival, con una
vocazione alla separatezza creativa che non era solo polemica nei
confronti del teatro istituzionale, ma concreta dimensione del fare,
politica perché calata nella vita. Le “mani nella terra” di un
nuovo teatro che ripensasse le relazioni umane prima ancora che lo
spettacolo.
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