Se ne parla da mesi: un mega convegno per dare al tutto un indirizzo nuovo (nuovo?). I nomi sono grossi, i soliti, gli argomenti pure, per non parlare delle ambizioni. L'idea, tra l'altro, l'avevo già sentita da qualche parte (Andrea T., ne sai niente?).
Devo ammettere che l'iniziativa mi affascina, da un certo punto di vista, come è inevitabile con qualcosa di così roboante. Ma può servire a qualcosa? Categorizzare una tendenza non significa già sancirne la morte? Al di là del fatto, naturalmente, che le idee si possono condividere o meno, vi passo la palla.
(Interessante anche l'articolo di Lagioia qui linkato, una specie di risposta-rilancio al libro di David Shields Fame di realtà, che a questo punto vedrò di procurarmi al più presto. No, non l'ho letto, però Lagioia me ne ha fatto venire voglia).
C'entra e non c'entra, però intanto consiglio di leggere il librino di Zygmunt Bauman qui citato figurativamente da Edo. L'ho letto pochi giorni fa, e l'ho trovato illuminante come pressoché ogni rigo di Bauman.
RispondiEliminaSpero che per commentare questo post non sia costretto a leggere prima il libro di Z. Bauman in questione. Esprimerò perciò soltanto delle mie personalissime opinioni.
RispondiEliminaLeggendo la notizia del convegno, il primo impatto all’argomento è stato “toh, qualcosa si muove nella letteratura moderna”. Poi riflettendoci meglio, sono apparso più scettico (ahimè, lo sono spesso). Quando la letteratura si stanca di un certo modello, passa subito a un altro senza troppo pensarci su. E lo fa pure senza tanta fantasia: i due movimenti derivano già da correnti precedenti, basta aggiungere un semplice prefisso, un anteposto, post o nuovo (visto che neo era già preso). Va be’ che esistono i cicli vichiani, ma queste sembrano manovre preposte a singoli interessi, a tirar l’acqua al proprio mulino, regole di mercato insomma.
Certo è che i due movimenti sono fortemente antitetici, uno vuol rendere tutto più vero, l’altro vuol farlo apparire come una costante finzione. Le sottocorrenti sembrano ampliarne i confini.
È pur vero che probabilmente esiste un vuoto generazionale, la mancanza di idee, la stasi creativa che affligge il nostro tempo: basti guardare cosa esce in libreria, le classifiche dei libri più venduti (anche se non sempre è così).
Credo che ognuno dovrebbe essere libero di scegliere lo stile che più gli aggrada, del resto io sostengo con convinzione che non importa quel che si dice o si scrive (solo nella finzione letteraria), ma piuttosto come lo si fa.
Spero di essere smentito (dai fatti ovviamente).
L’articolo di Nicola Lagioia tocca uno svariato numero di punti facilmente condivisibili. Me ne sta a cuore uno in particolare, vuoi perché tratta della trama che è sempre un aspetto nevralgico della questione (Dittatura della trama), vuoi perché è un tantino curioso. Cito: ‘È vero: oggi è ridicolo “far uscire di casa la marchesa alle cinque” per iniziare un romanzo’. Mi domando: sarebbe meglio farla uscire alle otto del mattino, o piuttosto, più che in una casa dovrebbe abitare in un castello? Forse non esistono più le marchese. Scherzi a parte, il punto è nodale: chi può giudicare cos’è giusto o sbagliato nella trama di un libro? Probabilmente quando si vuole instradarlo su un particolare cliché (o corrente), ciò diventa importante, ma chi lo fa deve assumerne la responsabilità (ed essere confutato dall’autore o dai lettori).
Errata corrige: leggasi "Spero di NON essere smentito (dai fatti ovviamente)."
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