giovedì 28 febbraio 2013

Spia


Negli ultimi tempi, quando qualcuno scrive o segnala un post o un articolo di una certa lunghezza (anche cartaceo, quindi non c’entra la scarsa leggibilità di siti e blog), premette angosciato: attenzione, il pezzo è lungo.
È una spia sociolinguistica, no?


mercoledì 27 febbraio 2013

Son tornati i dinosauri (e non c'entra la clonazione)

Sembrerà paradossale ma anche nel mondo del teatro ci sono i dinosauri. Animali estinti, come tutti sanno, che tuttavia continuano ad abitare, non la nostra immaginazione, com'è il caso dei rettili giganti a tutti noti, ma le direzioni dei grandi teatri italiani e dunque, di conseguenza, tutto il teatro italiano - che è un sistema fortemente accentrato. Se pensiamo che la generazione tuttora alla guida dei maggiori teatri stabili non ha meno di 60-70-80 anni; se pensiamo che quella generazione ha anche potuto approfittare, per raggiungere le proprie posizioni, di un momento storico di rimescolamento generale; se pensiamo infine che la generazione precedente a questa (quella degli Strehler, Grassi, Squarzina ecc.) se n'era uscita dritta dritta dalla guerra, potremmo dire, con un pizzico di cattiveria, che solo un grande sommovimento storico, come una guerra o una rivolta sociale radicale, potrebbero far ripiombare i dinosauri nell'era Mesozoica cui appartengono. Insomma, le istituzioni teatrali sono immobili e autocelebrative, proprio come la politica. Quella stessa politica che movimenti prima più elitari, e ora ormai di massa, attaccano frontalmente come macchina del privilegio eletto a sistema. Del resto non sono certo io il solo ad aver avvistato i dinosauri. Pochi giorni fa un articolo di Roberta Ferraresi su Doppiozero ha reso noti dati che confermano l'impressione: “dando un’occhiata alle direzioni dei teatri stabili – organismo-base del sistema, che fra l’altro assorbe ogni anno, eccezion fatta per gli enti lirici, buona parte del Fus, Fondo Unico per lo Spettacolo – la situazione è lampante: su 17 teatri, 11 sono diretti da over 60, con 4 punte ben oltre i 70. Dunque, gli under 60 rappresentano solo un terzo.” Ma il problema, continua, non è solo l'età. “Vi sembra normale che in un Paese civile – si chiede il Direttore Generale dello Spettacolo dal vivo al Ministero Nastasi – ci sia gente che dal 1980 è alla guida di un teatro stabile?”. Anche se tutto questo sembra lontano dalla realtà di provincia nella quale vivo e opero, tuttavia l'eco di questa situazione è fortemente avvertibile anche da noi: la longa manu di alcune medio-grandi istituzioni teatrali pubbliche e private gestite con logiche accentratrici, tipiche di quel sistema di potere, da tempo condiziona pesantemente le attività di chi vuol fare seriamente teatro sui laghi (tra le province di Novara e Verbania: la terra di nulle parte come diceva Jarry della Polonia in Ubu roi...). E' una sorta di “colonialismo culturale” - come ho sentito sorprendentemente affermare poco tempo fa da una voce più che autorevole.

giovedì 21 febbraio 2013

Confiteor

Del pubblico che ci discute e che ci giudica quanti sapranno mai per quali giorni neri siano passati i nostri fantasmi, e quanta parte migliore del nostro cuore ci costi il più meschino successo?

Giovanni Verga all'avvocato Salvatore Verdura (17 gennaio 1885)

  
(sottovoce: che grande, grandissimo narratore. Sapiente facitore di narrazioni, costruttore di marchingegni romanzeschi. Artigianato di gran razza. Modernissimo ancora. Se ripenso alla mia sufficienza di ventenne verso di lui in ragione di allergie veriste...mea culpa, mea maxima culpa)

mercoledì 20 febbraio 2013

venerdì 15 febbraio 2013

FSF


Non sono un ammiratore di Francis Scott Fitzgerald. Nemmeno il suo capolavoro, "Il grande Gatsby", mi ha entusiasmato.
Però ha certe accensioni, rinvenibili sin dai giovanili "Racconti dell'età del jazz" (da cui è tratta la citazione che segue), che sono piccole perle, giacché danno vita a momenti nel contempo epici e comici, definitivi e autoironici, tetragoni e sdrucciolevoli.

Sentite qua:

"Il whisky nella vasca da bagno prese fuoco. Le pareti iniziarono a crollare.
Jemina e l'uomo venuto dal villaggio si guardarono.
<<Jemina>>, sussurrò l'uomo.
<<Forestiero>>, disse lei.
<<Moriremo assieme>>, disse lui. <<Se fossimo sopravvissuti, ti avrei portata con me in città e ti avrei sposata. Con la tua capacità di reggere l'alcol, il tuo successo in società sarebbe stato assicurato>>.
Lei per un istante lo accarezzò oziosamente, contandosi sottovoce le dita dei piedi. Il fumo si fece più intenso. La sua gamba sinistra prese fuoco.
Era una lampada ad alcol vivente.
Le loro labbra si incontrarono in un unico lungo bacio e una parete crollò su di loro, sopprimendoli."

giovedì 14 febbraio 2013

Proust ad alta voce

L'altro giorno in occasione della prima puntata del Proust letto ad alta voce da Sandro Lombardi erano collegati in studio su Radio Tre Rai l'attore Lombardi appunto, lo scrittore Piperno e la poetessa Valduga. A un certo punto Valduga ha detto che Proust è un grande per via della musica della frase, che uno per apprezzare Proust deve apprezzare la letteratura e basta; perché non è vero che nella Recherche non succede niente come dicono alcuni; e alla fine se uno vuole che succeda qualcosa in un romanzo vada a leggersi gli americani. Subito dopo Lombardi ha affermato che invece secondo lui in Proust c'è la vita, ci sono tutte le pieghe del cuore umano e altre cose che adesso non ricordo, così come a grandi linee chiedo perdono ho ripetuto le frasi un po' incespicanti, dette con voce allappata a dire il vero, della poetessa.
Fatto sta che io la sto rileggendo, la Recherche, e devo dire che non so se ha dentro solo della vita o solo della letteratura, ma sicuramente nel leggerla a voce alta (rieccoci!) ti prende un po' la sensazione del grande fiume, con una grande corrente a cui non puoi resistere; e anche quando ci sono delle secche c'è qualcosa che ti fa proseguire; ma poi arrivi ai gorghi ed è lì che ti risucchia, mentre dove la corrente risulta più debole e quasi assente il fiume è solo apparentemente fermo. Basta infatti volgere lo sguardo alla riva per accorgersi che le cose intorno si muovono esibendo una varietà e una vivacità che le rende nuove, fresche, vive. E tutto questo risulta ancor più evidente se ti metti a leggere a voce alta. Strano no? Mai avrei pensato che una prosa come quella riuscisse a entrare nel fiato di un parlante e che il fiato di quel parlante riuscisse a potenziarsi a contatto con quella corrente. A che cosa siamo di fronte dunque, alla vita o alla letteratura?

martedì 12 febbraio 2013

Leggere (o leggére) a voce alta

Leggere a voce alta è una di quelle cose che tutti provano a fare, almeno una volta. Spesso si legge ai propri figli, quando sono piccoli, perché si addormentino tranquilli e per provare a immunizzarli dal virus della televisione.
Eccolo, un papà, semisdraiato sul cuscino, scivolare nel sonno prima del prediletto figliolo/a, il quale invece si agita sempre più e pretende che la voce del papino non si annodi in un impasto biascicato di suoni indistinti, come sta capitando da qualche minuto in qua, mentre sullo schermo nero dell'abbiocco, che allo stracciato genitore cala sugli occhi, cominciano a proiettarsi cavalli, re, regine, corone di plastica, aspirine effervescenti, latte caldo, un'arancia che diventa sole con un canto lontano che sale... rancia 'n celo nun si mangia...; finché lo scossone che un vetturino, giunto con la sua carrozza nel villaggio di Madame Bovary, gli appioppa, si trasfonde nel pugno sulla spalla che il regazzino incavolato sta assestando proprio ora a quella comatosa massa paterna che gli invade il lettino, accompagnando il vile gesto con urla di SVEGLIARSI, perché vuole che egli continui - oddio per l'eternità?! - a soffiare proprio quelle parole, su cui cavalcano personaggi da non poter perdere di vista neanche un secondo!
Se, d'altra parte, in un'altra occasione, il paparino prova, per ovviare alla noia di certe litanie in prosa ritmate come la striscia della corsia d'emergenza dell'autostrada, ad alterare le intonazioni dei dialoghi, a introdurre parlate dialettali, spostamenti di accento nelle parole, accelerazioni dove c'è descrizione, e rallentamenti dove c'è azione, l'incavolatura del pischello monta proporzionalmente alla convinzione inattaccabile che il Canone del Parlato Medio sia una verità universale da difendere con la spada, e che “se ti sentisse la Maestra” chissà che figura ci farebbe LUI.

Oggi sembra che tanti ci provino, a leggere a voce alta, anche in pubblico; nulla di male, in teoria: in certe biblioteche ci sono addirittura le Mamme Lettrici Volontarie, che regalano vocalismi letterari ai bimbetti; ma il rischio è che si confonda la nobiltà dell'atto gratuito con l'efficacia della performance. E non è colpa del volontariato, né delle Mamme; anzi, il volontariato è certamente nobile sempre e comunque, a patto che non diventi lavoro declassato; mentre le Mamme sono assolte per principio, a patto che non diventino strumenti del marketing. Il fatto è che, in certi casi, si ritiene sia meglio rimediare all'esiguità dei fondi pubblici coinvolgendo gratuitamente i volontari e investendo il poco denaro che c'è in comunicazione e marketing (appunto) territoriale. L'effetto, paradossale, è che ti trovi circondato da manifesti, locandine, libretti, striscioni, espositori, totem, paginate sui giornali che pubblicizzano quella tale iniziativa ad alta voce, in biblioteca o altrove, ma poi, nei fatti, non ci si preoccupa minimamente di difendere la delicatezza e l'importanza della qualità – non solo filantropica - dell'atto vocale di lettura.

Una volta ho assistito a una scena straordinaria: un Direttore di Biblioteca piazzato sotto un gazebo bianco, sistemato nell'angolo di piazzetta di una cittadina lacustre, sulla carta abbastanza grande da venir considerata capoluogo, ma di fatto non così importante da potersi dar arie di Città senza smarrirsi nella vastità dello specchio entro cui vorrebbe riflettersi. In quel posto ho visto, dicevo, un Direttore di Biblioteca accanirsi su un povero microfono, il quale non poteva far altro che rimandare all'attonito e accaldatissimo pubblico una sequenza talmente rapida e incomprensibile di parole, che avevano il solo torto di starsene tranquille a dormire nella pagina di un libro che forse si intitolava “Moby Dick”, che a un certo punto sono sicuro di aver visto la gamba di legno del capitano Achab in persona sollevarsi dalla pagina e sgusciare fuori dal gazebo, subito seguito da equipaggio al gran completo, e balena bianca al seguito, i quali, lieti di andare a rinfrescarsi nelle acque del lago, scappavano dai mari del romanzo, diventati invivibili a causa della mitraglia impietosa del parlato direttoriale.

Ad ogni modo leggere a voce alta è un nobile esercizio. Ci sta provando Sandro Lombardi, in questi giorni, su Radio Tre Rai, a districarsi come può nella foresta della Recherche. Ci provo anch'io, quasi ogni giorno, a leggere a voce alta: un training d'attore che mi porto dietro da un bel po'. So che ci sta provando anche l'amico Marco Merlin, con i suoi studenti. E' bello farlo, semplicemente; mette in moto energie sopite; fa ballare, cantare, sognare, camminare, far l'amore e respirare tutto in una volta; è danza del corpo, anche; per questo conviene stare in piedi a leggere, assecondando ciò che il corpo vuol fare: se squilibrarsi, o dondolare, o accucciarsi, o slanciarsi, o ripiegare a seconda che la voce si slanci, sussurri, ripieghi, innalzi, cambi toni, registri, sonorità.

Concludo con quella che può sembrare una banalità: per leggere come si deve a voce alta non basta possedere la competenza alfabetica minima, quella che consente di decodificare qualsiasi testo, o quasi, scritto nella propria lingua. Bisogna saper ascoltare le parole con un senso in più. E il senso in più, che scompare nella lettura silenziosa, è il corpo. Quando lo si mette in moto però, si scopre come il flusso discorsivo e vocale generato dalla lettura, acquisti su di noi un potere pratico, concreto; mette allegria, diventa quasi una terapia – per se stessi, s'intende.
Che lo possa essere anche per chi ascolta ho qualche dubbio, a meno di aver raggiunto una certa maestria nell'esercizio corpo a corpo col testo. Ci sono lettori che non uscirebbero mai a spasso con una poesia, così come esistono sedentari cronici cui ripugna l'atto del camminare. E' lecito pensare che a costoro forse la lettura a voce alta riuscirebbe stenta, frettolosa, triste, come quella del Direttore di Biblioteca? Oppure eccessivamente normativa, priva di scarti, come quella delle Maestre Custodi del Canone del Parlato Medio? O troppo sentimentale, superaffettiva, coltresca, guancialesca, lettonesca come quella delle Mamme Lettrici Volontarie?

lunedì 11 febbraio 2013

Dimenticanze

Vi è in altre parole, nell'idea di popolo, la stessa vaghezza e indeterminatezza che vi è nell'idea di dio, di quel dio pratico e strumentale che serve e non è servito, e al quale pure quegli stessi governanti vediamo appellarsi, poiché, come il popolo, egli sta infallibilmente dalla parte di chi lo invoca.

Salvatore Satta, De Profundis, Milano, Adelphi, 1980 p.63


(opera, questa, oltreché chirurgica e diamantina nella disamina politica, socio-economica e culturale del Ventennio e della conseguente disfatta bellica, con sprazzi narrativi assai pregnanti grazie alla prosa 'giuridicamente' nitida e densa, amara e appassionata sull'antico male italico: non sapere amare l'idea di libertà, non sapere e non volere metterla in pratica, preferendo la passiva lagnanza del servo all'adulta presa di coscienza del cittadino, il disamore civico che non fa sangue di nazione. Di un'attualità sconcertante [parte di un autore anch'egli assai eclissato, ingiustamente])

sabato 9 febbraio 2013

Kulturen

                        La Cultura è una stazione
di caccia alle balene dove il forestiero passeggia
tra bianche fiancate e bambini che giocano
eppure ad ogni respiro avverte

la presenza del gigante ucciso.


Thomas Tranströmer, 1954

Tiziano Scarpa su Simone Cattaneo

Per chi non l'avesse ancora letto, il contributo di Tiziano Scarpa su Simone Cattaneo uscito su LA LETTURA del 23 settembre 2012 è stato ripubblicato qui
http://www.ilprimoamore.com/blogNEW/blogDATA/spip.php?page=indexBLOG

venerdì 8 febbraio 2013

Finzione versus Realtà

Una giovane donna, affetta da qualche squilibrio, una bella mattina d'inverno va al Louvre e sul famoso quadro La libertà che guida il popolo di Delacroix incide un graffito incomprensibile: AE911. Interpellata non spiega il suo gesto né la misteriosa sigla. Si scopre dopo che potrebbe riferirsi a una teoria complottista sull'undici settembre 2001. Rivendicazione? Criptico segnale? Un buon inizio per un thriller alla Dan Brown, no? Quando la realtà supera la finzione, la eguaglia, la insegue, la riproduce? Fosse una thrilleromane?

giovedì 7 febbraio 2013

Il rumore della storia

Da Giorgio Caproni, il frammento di una poesia più lunga, che coglie bene una diffusa sensazione di "rumore della storia" sempre più insopportabile. Ma più che di rumore bisognerebbe forse parlare - oggi, adesso, qui - di cicaleccio della cronaca...      
     
                   Se almeno
questo fosse il rumore
del mare...

                Non
lo sopporto più il rumore
della storia...

mercoledì 6 febbraio 2013

Stati Uniti versus Europa

Vedi alle volte le coincidenze: interessante analisi del rapporto fra letteratura statunitense e vecchia, vecchissima Europa negli ultimi tempi. Che il flusso-influsso stia finendo come mi dicevo (speravo) qualche post fa (29 gen.)?

martedì 5 febbraio 2013

La finezza


I momenti di raffinatezza nascondono un principio di morte: niente è più fragile della finezza.

(da E. M. Cioran, "La tentazione di esistere").



lunedì 4 febbraio 2013

Scapino il narratore

 
Le furberie di Scapino, oltre ad essere l'ultima vorticosa farsa del comédien du Roi - supremo artigianato teatrale, occasione per un attore completo e autentico e per un regista grammatico dello spazio e del ritmo, sapiente architetto della punteggiatura scenica - attraverso l'azione del magistrale Scapino descrive in atto la teoria del romanzesco. Sia nella scena quinta dell'atto II, capolavoro mimico-gestuale con due monologhi affabulatorii ai danni dei due senes turlupinati, ma in particolare nella scena dell'insacco del povero Argante bastonato. L'azione scenica dichiara nei fatti cosa sia la mimesi narrativa, cosa un narratore: l'epifania vocale, il gorgheggio dei timbri, le metamorfosi vocali simulatrici di plurime identità, plurimi corpi e vite, finge la realtà. Nella sua duplice accezione, inscindibile: plasma da un dato di realtà una realtà surrogata, la ricrea con l'ausilio della parola, quindi crea ciò che non esiste, e finge, illude, inganna, che questo qualcosa esista davvero, ne dà parvenza di consistenza.

domenica 3 febbraio 2013

Due freddure d'autore


Umberto Bossi è così ignorante che, quando gli ho chiesto l'Infinito di Leopardi, mi ha risposto: "Leopardare".
(Roberto Benigni)

"La classe non è acqua," come disse la maestra agli alunni col salvagente.
(Alessandro Bergonzoni)

sabato 2 febbraio 2013

à propos de la rhétorique

Non mi pento di aver prima studiato di proposito a parlare, e dopo pensare, contro quello che gli altri fanno; tanto che se adesso ho qualcosa da dire, sappia come va detto, e non l'abbia a mettere in serbo, aspettando ch'io abbia imparato a poterla significare. Oltre che la facoltà della parola aiuta incredibilmente la facoltà del pensiero, e le spiana ed accorcia la strada.
(Giacomo Leopardi a Pietro Giordani, 20 novembre 1820)

Il che (oltre a modificare la ben nota sentenza catoniana del rem tene, verba sequentur - antiaristotelica, perché antisofistica nell'antica avversione al pericolo suasorio del retore, e quindi avversa al lògos del poeta prima di tutto artiere della Poetica, poi anche entusiasta, in vece del platonico-eracliteo creatore con le labbra bruciate dal fuoco incantatore della Pizia, profeta visionario slegato da qualsivoglia indottrinamento, al di qua delle masse, moralista caposetta, sentenza riconiabile in verba tene, res sequetur) potrebbe, dico potrebbe, far giustizia di tanta odierna produzione narrativa improvvisata, superficiale, sciatta, pedestre, umorale, sanguigna, veracemente ingenua, giovanilmente antagonista, che dell'argumentum, dell'oggetto raccontato, del tema forte fa motivo di autosufficienza estetica, salvo poi estinguersi il fuoco sacro, o meglio infrangersi, contro la cruda grettezza di un capoverso, l'insulsa beceraggine della sintassi, quando non davanti alla seccagine patente della singola parola.