martedì 12 febbraio 2013

Leggere (o leggére) a voce alta

Leggere a voce alta è una di quelle cose che tutti provano a fare, almeno una volta. Spesso si legge ai propri figli, quando sono piccoli, perché si addormentino tranquilli e per provare a immunizzarli dal virus della televisione.
Eccolo, un papà, semisdraiato sul cuscino, scivolare nel sonno prima del prediletto figliolo/a, il quale invece si agita sempre più e pretende che la voce del papino non si annodi in un impasto biascicato di suoni indistinti, come sta capitando da qualche minuto in qua, mentre sullo schermo nero dell'abbiocco, che allo stracciato genitore cala sugli occhi, cominciano a proiettarsi cavalli, re, regine, corone di plastica, aspirine effervescenti, latte caldo, un'arancia che diventa sole con un canto lontano che sale... rancia 'n celo nun si mangia...; finché lo scossone che un vetturino, giunto con la sua carrozza nel villaggio di Madame Bovary, gli appioppa, si trasfonde nel pugno sulla spalla che il regazzino incavolato sta assestando proprio ora a quella comatosa massa paterna che gli invade il lettino, accompagnando il vile gesto con urla di SVEGLIARSI, perché vuole che egli continui - oddio per l'eternità?! - a soffiare proprio quelle parole, su cui cavalcano personaggi da non poter perdere di vista neanche un secondo!
Se, d'altra parte, in un'altra occasione, il paparino prova, per ovviare alla noia di certe litanie in prosa ritmate come la striscia della corsia d'emergenza dell'autostrada, ad alterare le intonazioni dei dialoghi, a introdurre parlate dialettali, spostamenti di accento nelle parole, accelerazioni dove c'è descrizione, e rallentamenti dove c'è azione, l'incavolatura del pischello monta proporzionalmente alla convinzione inattaccabile che il Canone del Parlato Medio sia una verità universale da difendere con la spada, e che “se ti sentisse la Maestra” chissà che figura ci farebbe LUI.

Oggi sembra che tanti ci provino, a leggere a voce alta, anche in pubblico; nulla di male, in teoria: in certe biblioteche ci sono addirittura le Mamme Lettrici Volontarie, che regalano vocalismi letterari ai bimbetti; ma il rischio è che si confonda la nobiltà dell'atto gratuito con l'efficacia della performance. E non è colpa del volontariato, né delle Mamme; anzi, il volontariato è certamente nobile sempre e comunque, a patto che non diventi lavoro declassato; mentre le Mamme sono assolte per principio, a patto che non diventino strumenti del marketing. Il fatto è che, in certi casi, si ritiene sia meglio rimediare all'esiguità dei fondi pubblici coinvolgendo gratuitamente i volontari e investendo il poco denaro che c'è in comunicazione e marketing (appunto) territoriale. L'effetto, paradossale, è che ti trovi circondato da manifesti, locandine, libretti, striscioni, espositori, totem, paginate sui giornali che pubblicizzano quella tale iniziativa ad alta voce, in biblioteca o altrove, ma poi, nei fatti, non ci si preoccupa minimamente di difendere la delicatezza e l'importanza della qualità – non solo filantropica - dell'atto vocale di lettura.

Una volta ho assistito a una scena straordinaria: un Direttore di Biblioteca piazzato sotto un gazebo bianco, sistemato nell'angolo di piazzetta di una cittadina lacustre, sulla carta abbastanza grande da venir considerata capoluogo, ma di fatto non così importante da potersi dar arie di Città senza smarrirsi nella vastità dello specchio entro cui vorrebbe riflettersi. In quel posto ho visto, dicevo, un Direttore di Biblioteca accanirsi su un povero microfono, il quale non poteva far altro che rimandare all'attonito e accaldatissimo pubblico una sequenza talmente rapida e incomprensibile di parole, che avevano il solo torto di starsene tranquille a dormire nella pagina di un libro che forse si intitolava “Moby Dick”, che a un certo punto sono sicuro di aver visto la gamba di legno del capitano Achab in persona sollevarsi dalla pagina e sgusciare fuori dal gazebo, subito seguito da equipaggio al gran completo, e balena bianca al seguito, i quali, lieti di andare a rinfrescarsi nelle acque del lago, scappavano dai mari del romanzo, diventati invivibili a causa della mitraglia impietosa del parlato direttoriale.

Ad ogni modo leggere a voce alta è un nobile esercizio. Ci sta provando Sandro Lombardi, in questi giorni, su Radio Tre Rai, a districarsi come può nella foresta della Recherche. Ci provo anch'io, quasi ogni giorno, a leggere a voce alta: un training d'attore che mi porto dietro da un bel po'. So che ci sta provando anche l'amico Marco Merlin, con i suoi studenti. E' bello farlo, semplicemente; mette in moto energie sopite; fa ballare, cantare, sognare, camminare, far l'amore e respirare tutto in una volta; è danza del corpo, anche; per questo conviene stare in piedi a leggere, assecondando ciò che il corpo vuol fare: se squilibrarsi, o dondolare, o accucciarsi, o slanciarsi, o ripiegare a seconda che la voce si slanci, sussurri, ripieghi, innalzi, cambi toni, registri, sonorità.

Concludo con quella che può sembrare una banalità: per leggere come si deve a voce alta non basta possedere la competenza alfabetica minima, quella che consente di decodificare qualsiasi testo, o quasi, scritto nella propria lingua. Bisogna saper ascoltare le parole con un senso in più. E il senso in più, che scompare nella lettura silenziosa, è il corpo. Quando lo si mette in moto però, si scopre come il flusso discorsivo e vocale generato dalla lettura, acquisti su di noi un potere pratico, concreto; mette allegria, diventa quasi una terapia – per se stessi, s'intende.
Che lo possa essere anche per chi ascolta ho qualche dubbio, a meno di aver raggiunto una certa maestria nell'esercizio corpo a corpo col testo. Ci sono lettori che non uscirebbero mai a spasso con una poesia, così come esistono sedentari cronici cui ripugna l'atto del camminare. E' lecito pensare che a costoro forse la lettura a voce alta riuscirebbe stenta, frettolosa, triste, come quella del Direttore di Biblioteca? Oppure eccessivamente normativa, priva di scarti, come quella delle Maestre Custodi del Canone del Parlato Medio? O troppo sentimentale, superaffettiva, coltresca, guancialesca, lettonesca come quella delle Mamme Lettrici Volontarie?

6 commenti:

  1. Vero, verissimo, Franco (confesso: da una vita leggo ad alta voce, quando non in classe - siano gli sposi promessi o dante-, da solo. Sì, amo leggermi ad alta voce i passaggi più forti di opere che mi hanno colpito. Civetto pure slanci attoriali. E, molto, molto più mediocremente e meschinamente, lo faccio per necessità nelle cose che scrivo, quando necessita)

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  2. Bellissimo intervento, Franco!
    Personalmente, penso che un testo valga davvero solo se supera la prova della lettura a voce alta.

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  3. Eh già, come la musica per Thelonius Monk: lui diceva che se non faceva ballare, non era buona musica e a volte durante i concerti si alzava in piedi per vedere se riusciva a ballarci sopra...

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  4. Ci sono persone anziane, che amavano la lettura ma che oramai hanno gli occhi rovinati, che desiderano qualcuno che legga loro un libro, per potersi sentire ancora vive, intelligenti. Ma certo, solo chi ha amato e assimilato il libro, chi ha una consuetudine viscerale, quasi biologica con le parole, può farle sentire davvero vive e intelligenti. D'altronde, le parole sono nate per essere dette e la lettura silenziosa è soltanto un'invenzione recente. Chi sa che forse non sia vero anche l'inverso, che il riacquistare consuetudine con la lettura ad alta voce, il riacquistare la consuetudine fisica con le parole, non porti a una vera riscoperta del loro significato.

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  5. Probabilmente la mia lettura dei PS in classe è terribile, da un punto di vista tecnico, ma io mi diverto un sacco. Un po' meno i vicini, forse, che qualche volta si sono affacciati per vedere se la richiesta di "aiutoooo!" fosse credibile. Un giorno o l'altro dovrò dare spiegazioni alle neuro...
    M. M.

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