giovedì 31 gennaio 2013

L'attesa dell'attesa

Mi piacerebbe che la mia vita non lasciasse dietro di sé altro mormorio che quello di una canzone di veglia, di una canzone per ingannare l'attesa. Indipendetemente da ciò che sopraggiunge, o non sopraggiunge, l'attesa è in sé meravigliosa.

André Breton, L'amour fou, Torino, Einaudi, 1974, p.29

mercoledì 30 gennaio 2013

Per la memoria


“Secondo una teoria in voga in quegli anni, e che a me pare frivola ed irritante, l'«incomunicabilità» sarebbe un ingrediente immancabile, una condanna a vita inserita nella condizione umana, e in specie nel modo di vivere della società industriale: siamo monadi, incapaci di messaggi reciproci, o capaci solo di messaggi monchi, falsi in partenza, fraintesi all’arrivo. Il discorso è fittizio, puro rumore, velo dipinto che copre il silenzio esistenziale; ohimé, siamo soli, anche se (o specialmente se) viviamo in coppia. Mi pare che questa lamentazione proceda da pigrizia mentale e la denunci; certamente la incoraggia, in un pericoloso circolo vizioso. Salvo casi di incapacità patologica, comunicare si può e si deve: è un modo utile e facile di contribuire alla pace altrui e propria, perché il silenzio, l’assenza di segnali, è a sua volta un segnale, ma ambiguo, e l’ambiguità genera inquietudine e sospetto. Negare che comunicare si può è falso: si può sempre. Rifiutare di comunicare è colpa; per la comunicazione, ed in specie per quella sua forma altamente evoluta e nobile che è il linguaggio, siamo biologicamente e socialmente predisposti. Tutte le razze umane parlano; nessuna specie non-umana sa parlare.
Anche sotto l’aspetto della comunicazione, anzi, della mancata comunicazione, l’esperienza di noi reduci è peculiare. È un nostro fastidioso vezzo intervenire quando qualcuno (i figli!) parla di freddo, di fame o di fatica. Che cosa ne sapete, voi? Avreste dovuto provare le nostre. Per ragioni di buon gusto e di buon vicinato, noi cerchiamo in generale di resistere alla tentazione di questi interventi da miles gloriosus; la quale, tuttavia, per me diventa imperiosa appunto quando sento parlare di comunicazione mancata o impossibile. «Avreste dovuto provare la nostra»”.

 (da Primo Levi, I sommersi e i salvati, Torino, Einaudi 2007, Cap. IV. Comunicare, pp. 68-69)

martedì 29 gennaio 2013

venerdì 25 gennaio 2013

The Master





C'è una sequenza, verso l'inizio, dove Phoenix scappa per scale, corridoi e gallerie buie da un branco di orientali incazzati, si infila in un portone e scappa in un campo. La telecamera lo segue alle spalle mentre si infila tra i battenti. Phoenix corre fuori, nella luce grigia, mentre l'inquadratura avanza lentamente nella fessura, scoprendo a poco a poco il campo al di là, affogando lo spettatore nella nebbia azzurrina di un terreno brullo, arato di fresco. (Si intravede anche nel trailer, verso 2.15). Phoenix corre, lo spettatore lo vede in lontananza e affoga nel biancazzurro. E' uno stacco magistrale, ed è da cose come questa che si comprende la grandezza del cinema di P.T. Anderson: pensiero, densità e, per prima cosa, amore per l'immagine (soprattutto qui e ne Il Petroliere, meno in film precedenti e più corali come Magnolia o Boogie Nights). C'è un'ottima direzione della fotografia, è vero, ma è la mano del regista ad avere il peso determinante nel dare uniformità e peso al tutto.
In questo senso ne parlo qui. Perché ci vedo molto di letterario nella realizzazione di un film del genere.

mercoledì 23 gennaio 2013

Un'idea

Siccome, da inguaribile romantico, ci immagino tutti (redattori e lettori) con le librerie domestiche stracolme di volumi, disperati per non saper più dove infilare quel numero della rivista, quell'omaggio dell'editore, quella preziosa prima edizione, quella plaquette autoprodotta dal cugino, ho pensato: perché non istituire un mercatino? Noi tutti avremmo testi di cui, più o meno a malincuore, desideriamo liberarci per motivi di spazio (o per chissà quali altre ragioni); e allo stesso modo, desidereremmo testi che finora non siamo riusciti a reperire.
Il mercatino lo immagino all'insegna della gratuità o del baratto. La sua sede virtuale potrebbe essere questo blog. E, per mantenere un minimo d'ordine, potrebbe svilupparsi non tanto qui nei post, ma - ad esempio - nella colonna dei "link" (Edo, ti fischiano mica le orecchie?)

Mi sono appena svegliato, quindi accogliete con clemenza questa idea balzana.
Attendo suggerimenti (o lanci di ortaggi dal loggione).


domenica 13 gennaio 2013

Aguzza la vista



Vetrina della mia libreria preferita, scorcio.
(libreria Falso Demetrio, via di San Bernardo 67 r., Genova).

[lo so che si vede poco, ma ho il telefonino che ho; così almeno sarà più avvincente scoprire di che titoli si tratta]

venerdì 11 gennaio 2013

Il vaccino che ci manca?


(Siamo agli Inferi, che qui viene chiamato Kursaal dei Morti. Parla il direttore del Kursaal dei Morti.)

DIRETTORE. (…) Qui da me il numero dei morti in arrivo non aumentò in maniera rilevante (siamo nel primissimo secondo dopoguerra N.d R.). Vediamo. E' arrivato lei...
ROOSVELT: e saranno arrivati Mussolini e Hitler.
DIRETTORE. Mi pare... mi pare di aver letto questi nomi nel registro. Chi sono?
ROOSVELT. Domanda magnifica! Magnifica e sprecata! “Chi sono?”. Peccato! Questo “chi sono?” avrebbero dovuto dirlo gli uomini lassù. Ripeterlo in coro. A milioni di voci. Milioni di volte. Enormi disastri sarebbero stati risparmiati. So di uno, un italiano, uno scrittore, credo si chiamasse Savinio, che diceva: “Molti cercano la soluzione del fascismo e io questa soluzione l'ho trovata: smettere di pronunciare il nome di Mussolini. In un mese del fascismo non riamarrà traccia”.
Ma nessuno lo ascoltò. Nessuno ebbe la forza di non pronunciare più il nome di Mussolini. Nessuno riuscì a non pronunciare più il nome di Mussolini. E “Mussolini Mussolini Mussolini”, Mussolini continuò a gonfiarsi, a ingigantire. Del resto quel Savinio è un ingenuo. Potevano gli Italiani rinunciare a pronunciare il nome di Mussolini? Come chiedere agli Italiani di non parlare di se stessi. Il dittatore è un concentrato di popolo. Nel dittatore si riassume un popolo intero, si esprime, si manifesta, gode, vive. Gli anonimi si riuniscono in lui e acquistano forza; i nulli si riuniscono in lui e acquistano un qualcosa.”

(Alberto Savinio, 1991, “Alcesti di Samuele e atti unici”, Milano, Adelphi, pp. 124-125)

giovedì 10 gennaio 2013

Direzioni

"Che belli i tuoi racconti! A quando un romanzo?"

Mentre il povero scrittore vorrebbe sentirsi dire: "Che belli i tuoi racconti! A quando un aforisma?"

venerdì 4 gennaio 2013

Intelligenza, attenzione, fede.

   L'adesione dell'intelligenza non è mai dovuta a una cosa qualunque. Perché non è mai in alcun grado qualcosa di volontario. Soltanto l'attenzione è volontaria. Pertanto essa sola è materia di obbligo.
   Quando si cerca di provocare in sé volontariamente un'adesione dell'intelligenza, ciò che avviene non è un'adesione dell'intelligenza, è suggestione. È a questo che si riduce il metodo di Pascal. Niente degrada maggiormente la fede. E prima o poi è inevitabile che si verifichi un fenomeno di compensazione sotto forma di dubbi e di "tentazioni contro la fede".
   Niente più della falsa concezione di un obbligo dell'intelligenza ha contribuito a indebolire la fede e a diffondere l'incredulità. Ogni obbligo diverso dall'attenzione, imposto all'intelligenza nell'esercizio della sua funzione, soffoca l'anima. Tutta l'anima, e non soltanto l'intelligenza.

(da Simone Weil, Lettera a un religioso, Adelphi 2003).  


[perché quei libri là, sotto Natale, li ho comprati davvero.] 


mercoledì 2 gennaio 2013

Apoftegma(ndo)

In ogni epoca letteraria eutanasica - quale la nostra -, di languore dissolvente e persistente, grigia, chiaroscurale, balbuziente, ogni autore coscienzioso, carico di speranze, alimenta in sé, che lo sappia o no, una scrittura tortuosamente epigonica e una coraggiosamente inventiva. Le due convivono spesso facendosi implicita guerra, più raramente, e sarebbe buona cosa, sposandosi in un labile equilibrio, da cui solo può darsi la scaturigine di qualcosa di veramente potente; nuovo, chissà.

martedì 1 gennaio 2013

Primo dell'anno...


Bere i paesaggi, quando tutti dicono
di confrontarsi con il reale, bere
senza smettere i paesaggi, sentire
che sempre non c'è stato altro che questa
dimensione ultima,
indimostrabile,
inconfutabile.

Cesare Viviani