sabato 30 marzo 2013

Tempi nuovi

Diluvia e spiove. Spiove e diluvia. Tempaccio dannato, questa pasqua romana è di passione davvero. Che brutta Roma, ticchettata dalla pioggia. Eppure, sembrano molte le cose cambiate. Via dei Coronari: botteghe antiquarie, di quelle lussuose. Quanti cartelli vendesi, affittasi. Poi negozietti di carabattole, ninnoli, sciampisti e tagliaunghie. Sento qua e là accenti padani...strano, vivendo nel menighinume da anni mi fa strano sentirmeli qui. Qui, nella mia Roma. Chi non è nato e non è cresciuto in questa città bella e perversa, che ho odiato e amato come niente mai nella mia vita, non può capirlo. Creperò magari nel buco del culo del mondo, in qualche buchetto provincialotto, chissà, o all'ombra de sta madunina, ma sotto la pelle ce l'ho cucita questa identità. Roma per un romano come me è puttana amorevole, amante diabolica, è carne e sangue, è più di una carta d'anagrafe. Ti travasa l'anima, te la scortica e te la butta da un lato, medusa innocua, prosciugata. Sfinita.
Dopo piazza del Fico (o come recita l'iscrizione rifatta der Fico) lungo l'arco della Pace, prima del chiostro del Bramante ospitante una mostra sui Brueghel (deve essere la stessa che ho visto sul lago di Como, un poco deludente), camerieri loquaci tirano a sè turisti naso appeso in aria: "Nun je credete, so tutte buscie" civettano fra loro i colleghi accalappiatori.
Immancabile caffé alla "Tazza d'oro", al Pantheon, con annesso acquisto delle mosche (id est: chicchi di caffè tostati coperti di cioccolato). A piazza Caprarica fuori della chiesa una vecchina rimesta dentro una cariola da muratore carica di cartoni infuocati (ha da essere qualcosa legato al sabato santo, ignoro da non frequentante). M'infilo al primo scroscio d'acqua dentro una libreria della catena Arion, vicino al Parlamento. Questa ospita pure un "PhiloBiblion-Arion": antiquariato raffinato, prime edizioni autografate, manoscritti, lettere, edizioni rare da 20 a 5000 euro. Quanti libri su Grillo: un diluvio di istant book o di boring book. Manco se mi pagassero, e tanto, ne leggerei uno. Esco. Ripiove. Fuori della libreria l'Arion ha messo un cartello: "Auguriamo ai deputati della nuova legislatura buon lavoro e li invitiamo a venire in libreria". Mi ritrovo in faccia a Montecitorio. Il cielo è cupo, piove fitto. 
Anche qui quante cose sono cambiate. O forse no.

venerdì 29 marzo 2013

La morte


La mia ultima spesona in libreria comprende anche "La morte", di Vladimir Jankélévitch (PBE).
Dal paratesto e dalle notizie che ne ho, si preannuncia come una lettura che - se amassi i paroloni - definirei irrinunciabile.
Per ora resto ammirato dal titolo: così semplice, così radicale.

mercoledì 27 marzo 2013

Cultura e denaro, tanto denaro...

Un quotidiano nazionale ha riportato recentemente la notizia della condanna a 14 anni di carcere del professor Giuliano Soria, padre del Premio Grinzane-Cavour. Trattandosi di un personaggio che si è occupato di organizzazione culturale, leggere che gli è stata inflitta una condanna così pesante per reati collegati (ma non solo) alla sua professione colpisce e induce ad alcune riflessioni. Soria è un signore che ha ampiamente “giocato” (uso un verbo soft) con i soldi pubblici: in 4 anni e 7 mesi più di 19 milioni di euro stanziati dalla sola Regione Piemonte “senza bisogno di rendicontazione”. Di quei 19, 4 sono stati utilizzati per fini personali (ristrutturazione di case prestigiose a Torino, Parigi, Ospedaletti; spese “pazze” di vario genere). Già questo fatto sbigottisce chi, affannandosi a organizzare iniziative culturali di vario genere deve – e giustamente – fornire documentazione e giustificazione anche per il caffè offerto il giorno dello spettacolo all'artista ospite. All'epoca dell'arresto del professore una delle domande che più si sentivano girare nell'aria poteva essere formulata all'incirca così: “ma quanti Soria esistono di cui non si sa nulla?”. Domanda stimolante, ma che dovrà rimanere senza risposta, almeno qui, come senza risposta erano rimaste, per anni, le prevedibili domande sui budget stellari del magnate del premio piemontese, finché il suo domestico filippino, mai dichiarato al fisco, maltrattato moralmente e sessualmente, costretto a turni di lavoro di 16 ore, decise di rendere nota alla Polizia la propria situazione. Ho avuto modo di organizzare un intrattenimento teatrale per il Premio l'anno prima che scoppiasse il caso, e non posso dimenticare tanto facilmente la mia delusione quando, nel bel mezzo della ricca cena, deciso a provocare una reazione vera nell'uditorio, piazzai lì, ben scandita, una frase di Mario Soldati - mica un estremista rivoluzionario - dotata però di un certo qual pungiglione: “e basta parlare di Cultura! Cultura sa di deretano. Meglio usare la parola Civiltà!”. Un po' ingenuamente avevo calcolato di suscitare quantomeno un silenzio imbarazzato, invece scoppiò un applauso unanime; primo fra tutti Soria si distingueva tra il folto del tavolame. All'uscita del ristorante fu sempre lui a lanciarmi un “bravo!” prima di scomparire. La domanda sorge spontanea: a quale Civiltà appartiene Soria? 
(pubblicato sul periodico Ecorisveglio) 

martedì 26 marzo 2013

Anna Maria Ortese

(Mentre guardo cadere la neve di primavera) 
  [...]"La tragedia della mia vita (espressione euforica, che quasi mi diverte per la sua ingenuità, in quanto tutte le vite sono tragiche, quella stessa di un filo d'erba o di un atomo, e nulla veramente si sottrae a questa tragicità, che consiste nell'essere irresistibilmente «portati») fu dunque nello scoprire quasi subito che tutte le cose - anche persone, volti, libri - erano vuoto e apparenza, erano immagini, la cui materialità e libertà erano tutte illusorie. Una sola cosa viveva veramente, era quasi altro dal vivere della materia: il dolore e l'emozione dolorosa (metto tra queste emozioni anche l'amore e la gioia). Ben presto, dunque, io mi trovai a dovermi battere per una cosa - la vita - che era un abisso e una perdita. Lo sapevo, ma ciò non toglieva che dovevo battermi".
(da Anna Maria Ortese, Corpo celeste, Milano, Adelphi, 1997, p. 72)

giovedì 21 marzo 2013

Non saprò come va a finire...


...Lolita, di Nabokov, ma la cosa non mi angustia. Ho mollato la presa all'ennesimo mirabile giro sintattico, all'ennesimo pezzo di bravura ritmica, all'ennesimo riuscito pastiche di prima e terza persona, di identificazione e separazione, all'ennesimo guizzo di cinismo sudaticcio e frivolezza dolente.
Faccio finta di accampare un paio di scuse.
Arrivo dalla lettura del fluviale Middlesex di Eugenides (in tre mesi il secondo libro in cui mi ossessiona Tiresia, dopo la lettura natalizia di Qualcosa di scritto, di Trevi).
C'è Italia-Brasile in tv e miracolosamente mia figlia n. 2 è già a nanna.
Ma sono scuse belle e buone. La verità è che mi dicevano che uno deve leggere questo libro, perchè è uno di quei libri che uno deve leggere.
A me, però, questo libro puzza un po' troppo di stantìo (fin dove sono arrivato) e, detto più o meno tra noi, sono contento di riportarlo in biblioteca domani.
Mi sa che non era un libro che dovevo proprio proprio leggere.

mercoledì 20 marzo 2013

Belle notizie


Ogni volta che esce un libro di poesie di Enrico Testa sono felice.
Enrico è stato il mio professore di tesi, io il suo primo tesista.
Enrico mi ha insegnato tante piccole cose fondamentali, come non dire nè scrivere mai la parola "tesista".
Un giorno abbiamo scatenato le ire di una ragazza a ricevimento da Enrico dopo di me: terminata la chiacchierata intorno a un passaggio della mia tesi, siamo rimasti un quarto d'ora - con lei che batteva il piede e sbuffava - a parlare di Alviero Chiorri, detto Il Marziano (Ricky, almeno tu lo ricordi?).

Enrico Testa, "Ablativo", Einaudi (Collezione di poesia), pp. 136, € 11,50.

lunedì 18 marzo 2013

Ironia e malinconia: Guido Gozzano

(Un testo che mi capita spesso di rileggere e che ogni volta mi incanta per il suo equilibrio tra dramma e gioco...)

III.

Sei quasi brutta, priva di lusinga
nelle tue vesti quasi campagnole,
ma la tua faccia buona e casalinga,
ma i bei capelli di color di sole,
attorti in minutissime trecciuole,
ti fanno un tipo di beltà fiamminga...

E rivedo la tua bocca vermiglia
così larga nel ridere e nel bere,
e il volto quadro, senza sopracciglia,
tutto sparso d'efelidi leggiere
e gli occhi fermi, l'iridi sincere
azzurre d'un azzurro di stoviglia...

Tu m'hai amato. Nei begli occhi fermi
rideva una blandizie femminina.
Tu civettavi con sottili schermi,
tu volevi piacermi, Signorina:
e più d'ogni conquista cittadina
mi lusingò quel tuo voler piacermi!

Ogni giorno salivo alla tua volta
pel soleggiato ripido sentiero.
Il farmacista non pensò davvero
un'amicizia così bene accolta,
quando ti presentò la prima volta
l'ignoto villeggiante forestiero.

Talora - già la mensa era imbandita -
mi trattenevi a cena. Era una cena
d'altri tempi, col gatto e la falena
e la stoviglia semplice e fiorita
e il commento dei cibi e Maddalena
decrepita, e la siesta e la partita...

Per la partita, verso ventun'ore
giungeva tutto l'inclito collegio
politico locale: il molto Regio
Notaio, il signor Sindaco, il Dottore;
ma - poiché trasognato giocatore -
quei signori m'avevano in dispregio...

M'era più dolce starmene in cucina
tra le stoviglie a vividi colori:
tu tacevi, tacevo, Signorina:
godevo quel silenzio e quegli odori
tanto tanto per me consolatori,
di basilico d'aglio di cedrina...

Maddalena con sordo brontolio
disponeva gli arredi ben detersi,
rigovernava lentamente ed io,
già smarrito nei sogni più diversi,
accordavo le sillabe dei versi
sul ritmo eguale dell'acciottolio.

Sotto l'immensa cappa del camino
(in me rivive l'anima d'un cuoco
forse...) godevo il sibilo del fuoco;
la canzone d'un grillo canterino
mi diceva parole, a poco a poco,
e vedevo Pinocchio e il mio destino...

Vedevo questa vita che m'avanza:
chiudevo gli occhi nei presagi grevi;
aprivo gli occhi: tu mi sorridevi,
ed ecco rifioriva la speranza!
Giungevano le risa, i motti brevi
dei giocatori, da quell'altra stanza.


(da Guido Gozzano, "La signorina Felicita, ovvero la Felicità") 

sabato 16 marzo 2013

mercoledì 13 marzo 2013

Premi (il)letterari. Seconda.

[le parti sottolineate, diciamo, le condivido, eccome]
INGE FELTRINELLI DÀ RAGIONE A TREVI “STREGA MAFIOSO”


Le polemiche dopo la denuncia dello scrittore a “Repubblica”
RAFFAELLA DE SANTIS
«Trevi in parte ha ragione: il sistema di scelta dei candidati del Premio Strega è un po’ mafioso. Servirebbe una giuria più fresca e indipendente». La reazione più dura alle accuse che ieri ha lanciato su
Repubblica Emanuele Trevi contro il più importante premio letterario italiano arriva da Inge Feltrinelli che anche da Mosca tiene a far sentire la sua voce. Ieri lo scrittore ha annunciato di volersi sospendere da giurato per dire basta alle pressioni e alle strategie degli editori che «si muovono seguendo esclusivamente i principi del marketing» e in cui «molti giurati sono stipendiati dagli stessi editori che poi chiedono loro il voto». La signora dell’editoria italiana è diretta: «La Mondadori detta legge», dice, «lo Strega dovrebbe andare solo ad un libro di qualità, non essere assegnato per effetto di pressioni».
Per il resto, reazioni seccate, come quella di Tullio De Mauro, presidente del comitato direttivo del premio che taglia corto: «Trevi ci mandi una lettera di dimissioni e ne prenderemo atto. I grandi editori sono la meta ambita di qualsiasi scrittore e in genere hanno la possibilità di selezionare meglio i loro autori. Non so cosa voglia fare Trevi, non ho ricevuto nessuna comunicazione da parte sua». Più caustico Alessandro Barbero, dimessosi con un anno di anticipo dal comitato direttivo per sostenere il libro di Aldo Busi: «Andreotti diceva: ci sono due generi di matti, quelli che vogliono essere Napoleone e quelli che vogliono risanare il bilancio delle ferrovie. Poi c’è chi vuole cambiare lo Strega. Questo premio rispecchia il mondo letterario italiano. Non sono le regole a non funzionare, ma la società letteraria». Mentre Stefano Petrocchi, coordinatore esecutivo della Fondazione Bellonci, assicura che «il fatto che siano stati candidati libri di qualità come quello di Trevi, Piperno e Nesi è il segno che il marketing non è il solo criterio di scelta».
E gli editori? Che cosa pensano quelli che, secondo le accuse di Trevi, condizionerebbero il risultato mercanteggiando voti e tessendo strategie incrociate fatte di telefonate? Silenzio assoluto da Rizzoli e Mondadori. Parla invece Stefano Mauri, grande capo Gems, arrivata l’anno scorso proprio con Qualcosa di scritto di Trevi a due punti dalla vittoria: «Mi sembra che dei passi siano stati fatti. Il voto telematico favorisce un rapporto più diretto tra pubblico e giuria. Certo però che, per vedere attuata del tutto la meritocrazia allo Strega, forse dovranno passare altri cento anni». Pessimista Raffaello Avanzini: «I giochi di potere allo Strega vanno al di là di quanto si possa immaginare, ma il premio non può prescindere dai gruppi editoriali e la battaglia del singolo contro il sistema non porta a nulla».
Newton Compton tenterà di aggiudicarsi un posto nella rosa dei candidati con Ilaria Beltramme, La società segreta deglieretici. Ernesto Franco, direttore editoriale Einaudi e giurato, non sembra stupito: «Non tutto è riducibile al mercato. La casa editrice non è né una fondazione culturale, né una finanziaria. È un’organizzazione ibrida in cui l’aspetto culturale e quello economico si legano. La qualità di un libro viene fuori anche da questo intreccio». E i piccoli, quelli che dalla “Spectre” dei grandi gruppi potrebbero risultare schiacciati? Ginevra Bompiani, editrice nottetempo e giurata, invita a guardare oltre: «Molte delle cose dette da Trevi sono giuste e anche risapute. Non è lo Strega il male del nostro paese. È un premio di scuderia, certo, ma le cose gravi stanno altrove. È una goccia in uno stagno».
Della giuria dei 400 Amici della Domenica fanno parte anche molti scrittori. Di diritto vi entrano i vincitori. Antonio Pennacchi, arrivato primo nel 2010 con Canale Mussolini(Mondadori), racconta così la sua esperienza: «Oggi sono tra i giurati e quando mi telefonano spiego che voto come mi pare, punto e basta. D’altra parte ho partecipato al premio in un anno sfavorevole per la Mondadori. Quell’anno decisero di portare il mio libro perché pensavano di perdere e invece ho vinto. Grazie a Mondadori, certo, ma anche conquistandomi dei voti fuori dal gruppo». Le accuse di Trevi suonano invece familiari a Domenico Starnone, ma lo scrittore, primo nel 2001 con Via Gemito (Feltrinelli) non individua facili vie d’uscita: «Il premio si vince sulla base della capacità di imporre il libro da parte degli editori. È sostanzialmente una gara tra editori. Onestamente, anche se il mondo dell’editoria è una guerra fra bande, non credo sia possibile una giuria estranea agli interessi editoriali».
Qualcuno però ha detto no allo Strega. Michela Murgia, per esempio, non ha accettato di entrare tra gli Amici della Domenica: «Il gioco di relazioni che si crea non tiene conto del valore del libro. Per me sottostare alle telefonate e alle pressioni sarebbe stato un massacro». Nicola Lagioia è autore Einaudi, direttore della collana Nichel di minimum fax e anche giurato, come risponde a Trevi?: «Ho sempre disatteso le telefonate che mi venivano fatte e non mi è successo niente. Per riformare il premio basterebbe che ogni singolo giurato scegliesse di non essere cortigiano. Ma la cortigianeria appartiene purtroppo per tradizione all’intellettuale italiano». C’è da dire che in questi ultimi anni delle riforme sono state fatte, dall’aggiunta dei voti dei 60 lettori forti selezionati dalle librerie indipendenti, fino all’introduzione quest’anno del voto elettronico al posto di quello via fax. Ma lo Strega è un risiko che vive anche grazie alle polemiche.

martedì 12 marzo 2013

A proposito di premi (il)letterari...

[dalla Repubblica di oggi, intervista a E.Trevi ritiratosi dalla giuria dello Strega. Lascio a voi il commento; io ho detto (sempre) troppo]

 
TREVI: “BASTA PRESSIONI LASCIO IL PREMIO STREGA”
 
 

 


Lo scrittore si autosospende da giurato in polemica con le case editrici
RAFFAELLA DE SANTIS
Lo superò, al termine di una serata combattutissima Inseparabili,il romanzo di Alessandro Piperno edito da Mondadori. Oggi, nei giorni in cui si vanno definendo le candidature ufficiali, lo scrittore, che dal 1994 fa parte della giuria dei 400 Amici della Domenica, decide di prendere le distanze.
Come mai una decisione del genere proprio adesso, dopo tanti anni nella giuria?
«Mi sembra il momento migliore. Non mi piace un premio in cui il candidato è stabilito dalle case editrici, che scelgono da sole i loro cavalli di battaglia, e in cui molti giurati sono stipendiati dagli stessi editori che poi gli chiedono il voto. Il criterio va ribaltato: sono i giurati che debbono battersi per i libri in cui credono».
Lei però l’anno scorso ha partecipato con un suo libro. Non le sembra un po’ strano criticare solo adesso il premio?
«No, queste cose le ho sempre dette, anche in passato. Vorrei un premio in cui possa finalmente vincere una casa editrice piccola come Quodlibet e un libro come quello di Paolo Albani,I mattoidi italiani. Allo Strega lavorano persone di grande intelligenza come Tullio De Mauro, Nora Alberti e Stefano Petrocchi, dunque mi rivolgo anche a loro: se non ora quando? È questa la fase giusta per attuare una rivoluzione».
Cosa vorrebbe cambiare?
«Prima di tutto ci vorrebbe una riqualificazione della giuria. Debbono essere i giurati a scegliere i libri e non le case editrici, che si muovono seguendo esclusivamente i principi del marketing. Lo Strega dovrebbe seguire l’esempio delle classifiche di Pordenonelegge, guidate da criteri di qualità e non di mercato. Inoltre bisognerebbe rinunciare al voto segreto, per escludere qualsiasi sospetto di pacchetti di voti già assegnati. Infine, come già ho anticipato, dovrebbero essere tagliati fuori dalla giuria gli stipendiati dagli editori. A quel punto le stesse case editrici potrebbero forse finalmente iniziare a lavorare alla luce del sole».
Perché sfilarsi alla vigilia delle candidature?
«L’anno scorso essendo in gara non ho votato, dunque la continuità si era già interrotta. Sono tra gli Amici della Domenica dal 1994, ero il più giovane giurato d’Italia. Durante tutti questi anni ho cercato di assolvere il mio compito con onestà, premiando i libri migliori. In realtà non mi sono mai sentito completamente a mio agio. Già in passato avrei voluto uscirne. Ero però molto legato a Anna Maria Rimoaldi, che riusciva ogni volta a trattenermi. Anche Cesare Garboli ha avuto su di me una grande influenza nello spingermi a rimanere. Ma adesso il fastidio è diventato non più tollerabile».
Si riferisce alle telefonate per chiedere i voti?
«Le telefonate sono pietose. Si arriva perfino alla maldicenza. Diciamo che le più innocenti sono quelle in cui ti dicono che il tuo voto è sprecato. Mi dà fastidio la maleducazione, nelle chiamate trapelano velate minacce».
La scorsa edizione anche il suo editore avrà telefonato per chiedere voti in suo favore, non crede?
«Sì, e ora ci si aspetta un risarcimento, perché chi ha partecipato in prima persona è naturale che abbia accumulato dei debiti. Per questo come ulteriore regola vieterei a chi ha concorso alla gara di far parte della giuria. E poi, mi creda, è umiliante anche per lo scrittore vincere con i voti che l’editore ha racimolato telefonando ».
Può dirci però per chi avrebbe votato?
«Avrei scelto il romanzo di Walter Siti, Resistere non serve a niente.Tifo Siti, ma non lo voterò. Non prendo parte a un premio malato, che non risponde a un criterio culturale di qualità. Lo Strega va sottratto alla logica del mercato e al mondo del potere, dal quale finché possibile voglio vivere al riparo. Desidero che le cose che faccio mi assomiglino. E poi le cose belle sono disinteressate».

lunedì 11 marzo 2013

Gli studenti di lettere

Per l'onore mio e dei miei colleghi, ci tengo a sottolineare la nostra estraneità a certe sozzerie esistenziali e letterarie che circolano su di noi e che ho ragione di credere facciano presa sui lettori, visto se non altro il peso del blog ospite.
(Se questo è il livello della nostra raccontistica, non ho problemi a professarmi filoamericano).

domenica 10 marzo 2013

Altri tempi

Il pubblico non legge mai la prima stampa di un nome nuovo: onde tanto farebbe riempirla di parole estratte a sorte da un cappello.

Giovanni Faldella, A Vienna. Gita con il lapis, 1874

venerdì 8 marzo 2013

Sulle prefazioni


Voi cosa pensate, se pensate qualcosa, delle prefazioni?
Vi piace la prefazione-saggio di quarantotto pagine, a cui seguono la biografia dell'autore, i riferimenti bibliografici e l'antologia della critica?
O quella sintetica-sintetica che informa giusto sui minimi dati biografici dell'autore e sull'occasione da (per) cui il libro è nato?
Oppure quella goffo-ammiccante che sovrainterpreta (e di solito svela il finale)?
O ancora, quella dello scrittore contemporaneo che con intollerabile narcisismo segnala tutti i debiti che ha con l'autore, chiamandolo col nome proprio e istituendo imbarazzanti parallelismi tra lui e sè?

Personalmente, i libri mi piacciono senza prefazione, e con una quarta di copertina intelligente.

p.s.
E poi non ho mai capito la differenza - di contenuto, dico - tra prefazione e postfazione.