giovedì 29 novembre 2012

Abbandoni

L'abbandono della scrittura da parte di Roth è atto estetico, in considerazione dell'età avanzata e dei molti successi mietuti. Lo stesso compiuto venti o trent'anni prima, al culmine del successo, sarebbe stato etico, in considerazione della notevole sottrazione di tempo e risorse ancora spendibili, la secessione da una giostra gratificante. Assolutamente drammatico è l'abbandono dello scrittore anonimo, la miccia inesplosa, che sconta nell'esilio silenzioso della propria vita la potenza della frustrazione e della rinuncia, la mancanza di risposte, l'assenza di risposta alla domanda di senso intorno alle ragioni della sconfitta. Ma potentemente tragica è soltanto la prosecuzione dell'intima tortura quando si sia superata la soglia precedente con lampante consapevolezza e si accetti comunque l'assurdità dell'azione, l'illogicità del progetto, sapendo di errare, accettandone le conseguenze ultime.

martedì 27 novembre 2012

Siamo spiacenti

Un libro uscito da poco, che solletica il mio interesse.

domenica 25 novembre 2012

Un caffè da Pina Bausch

Pina Bausch, "Café Muller": poesia della scena al massimo grado (anche senza parole). Dateci un'occhiata se già non la conoscete... 
http://www.youtube.com/watch?v=pEQGYs3d5Ys&feature=related

venerdì 23 novembre 2012

Joyce: Bene!

Il divino Carmelo

(gratias ago tibi, Marce Marzagalle)

mercoledì 21 novembre 2012

Kafka

Due pareri autorevoli



martedì 20 novembre 2012

Il vuoto


(Brout Krajnc, Emptiness series)

(Segnalo questa mostra itinerante dedicata alla fotografia post-jugoslava, Aftermath-Changing cultural landscape. A Pordenone fino al 20/01/2013)

il mio pensiero è andato qui:

"Perdonare. Non si può. Quando qualcuno ci ha fatto del male, si creano in noi determinate reazioni. Il desiderio della vendetta è un desiderio d'equilibrio essenziale. Cercare l'equilibrio su di un altro piano. Bisogna andare da soli fino a quel limite. Là si tocca il vuoto".

(Simone Weil, L'ombra e la grazia, trad. di F. Fortini, Milano, Bompiani 2007, p.15)


sabato 17 novembre 2012

Promenade solinga disillusaque

Ieri pomeriggio vado al Castello Sforzesco per fare un giro tra gli eventi di book city. Dicono che da un anno a questa parte Milano stia vivendo un risveglio culturale. Me ne compiaccio; ricordo qualcosa di simile alla metà del novanta a Roma; poi venne il giubileo, poi vennero gli anni 'zero' e Alemanno, adesso vivo qui e non so cosa succeda, ma credo niente di speciale. Confesso a voi e al mondo senza pudore di essermi sempre tenuto alla larga da festival editorial-letterari, fiere, saloni, performance et similia (mai stato a Mantova né a Torino, per dire). Comunque ieri faccio il bravo e vado ad annusare.

Primo incontro. Sala panoramica. 
Tre piani a piedi, ma di quelli scaloni lunghi e alti che arrivi in cima - sono poco atletico - e bestemmi quando scopri l'ascensore accanto all'ingresso. Poche sedie, pure rimediate; per la serie raccogliticce, spaiate. Parlano piccoli editori sulla crisi del sistema, l'oligopolio dei grandi. Ci sono: Iperborea, Nottetempo, Marcos y Marcos, Voland e due piccoli librai indipendenti. Cose note, giuste, verissime: scontistica ammazza-indipendenza, librai allo stremo. Ascolto parlare Ginevra Bompiani, non l'avevo mai vista: molto agguerrita, battagliera, dice cose da barricadera contro il sistema, da donna di sinistra dura e tosta. Mi fa piacere, intendiamo. Poi mi dico: è la figlia di Valentino, ha fondato la casa editrice con la nipote di Einaudi e s'incazza contro il sistema....magari non avrà più rapporti con la dinastia, avranno litigato, non percepirà più quote azionarie. Mi sovviene a un di presso una battuta che ascoltai, a margine del più nazionalpopolare dei premi editoriali, lo Stregagatti. Tal critico blasonato, Pippo la Portucola, gongolava dicendo che è bello vedere nella cinquina un piccolo editore giovane e indipendente, coraggioso, aggiunse: si riferiva a Nottetempo, chiaro. Coraggioso e giovane; fondato da due rampolli di grandi dinastie editoriali, due padroncini del vapore. Bo'... e allora due piccoli e anonimi che mettono su una casa editrice dal nulla che sono, se quelle due sono coraggiose? Due scriteriati, due folli, due marziani? Poi penso: siamo in Italia. L'associazione dei giovani industriali andrebbe ribattezzata: associazione dei giovani (figli di) industriali. Vabbe'.... m'alzo e scendo. Stavolta con l'ascensore, però. Consumiamo un po' d'energia, ai posteri l'arida terra.
 
Secondo incontro. Sala Weil Weiss.
Entro che sta già parlando Andrea Cortellessa; stavolta bella sala, la cosa che guardo di più è la cintura di libri alle pareti. Cortellessa non l'ho mai visto parlare; è affabile, buon eloquio. Sta descrivendo l'attività di Alfabeta2, il fatto che l'anno prossimo dedicheranno uno speciale al cinquantennale del Gruppo 63, lodevole iniziativa. Poi invita a leggere quattro poeti in successione: Biagio Cepollaro, Milli Graffi, Giulia Niccolai, Aldo Nove. La mia ingnoranza sulla poesia è notoria e crassa, tanto per ribadirlo; di costoro non ho mai letto nulla, una pure la ignoravo (la Niccolai). Leggono inediti o testi da poco editi. Il testo di Cepollaro - "il corpo" credo si intitoli - msembrato il più interessante, dotato di struttura. La Graffi è stata penalizzata dal non riuscire a leggere nel buio bene i suoi testi, nonostante l'ausilio di una grossa lente alla Sherlock  (perché non s'è messa gli occhiali?). Alla fine non si capisce nulla. Niccolai esordisce dicendo che la sua poesia è comica, quindi s'aspetta che faccia ridere; oddio, qualcosa sì, poi domanda in un caso: "questa non l'avete capita? Be', la rileggo". Io non l'ho capita comunque, ma non domando il bis, era fin troppo breve. Tocca in ultimo a Nove; per anagrafe il più giovane nel suo essere - trovo scritto - una specie di tardo-avanguardista, per dirla con Sanguineti. Infatti legge direttamente da un i-pad, mentre gli altri da fogli o libri. Se ho capito sta scrivendo un'opera poetica per ogni anno della sua vita che si ultimerà nel 2020 quando sarà pubblicata; non capisco, la sua vita smetterà di scriverla o di viverla? L'anno è il 1969, dice di avere 3 anni (scopro poi che è nato nel 1967). Cortellessa esordì presentandolo che la sua opera è fortemente soggettiva. Racconta di chi viveva davanti a casa sua, di certi giochi da bambino, dei genitori che parlano dell'Apollo 11. La cosa dura da una decina di minuti. M'alzo e me ne vado.

Poscritto: oggi pomeriggio, lo giuro, m'ero ripromesso di andare a vedere qualcos'altro, giusto per non essere il solito misantropo letterario, un asociale isolazionista. Però il tempo non è granché, fa freddino. Ma....mi sa che me ne starò al calduccio coi morti. Devo iniziare a leggere la Casina, l'ultima commedia plautina e forse mi toccherà mettere mano alla mia officina per aggiungere un pezzo a qualcosa che sta faticando enormemente per uscire fuori, spacca la mia mano e fa attrito sulla carta. Insomma scrivere qualcosa nato e digià morto. Forse per oggi rimango a far compagnia alle mie povere cose morte.
 

venerdì 16 novembre 2012

Volponi

Alessio Torino mi segnala una due giorni dedicata all'amato (sia da lui che da me) Paolo Volponi:

martedì 13 novembre 2012

A domanda risposta


lunedì 12 novembre 2012

Crisi globale e cultura: la provincia italiana alla riscossa?

(Ecco un "pezzetto" che ho pubblicato su un periodico locale, forse può stimolare una riflessione)

In un momento di crisi dei modelli standard di riferimento (della politica, della cultura, della vita sociale, del mercato) ecco riprendere vita l'iniziativa di chi (e sono tanti), non più confinato nella solitudine del benessere vero o rappresentato dai media, cerca la comunità nel disagio. Si assiste infatti alla nascita anche di piccoli e piccolissimi movimenti di riscatto civico, o di analoghe iniziative culturali. Per chi da sempre – come certi artisti – si confronta col disagio, e anzi lo cerca come condizione necessaria di rischio esistenziale, questa crisi appare come un formidabile strumento di cambiamento. Permane tuttavia una doppia sensazione: da un lato si colgono nell'aria volontarismo e passione, dall'altro si percepisce il rischio che questi sfuochino l'importanza del concetto di competenza. La competenza nasce dall'investimento che l'individuo compie su se stesso nel tempo, dandosi l'opportunità di imparare a regola d'arte i fondamenti del proprio mestiere e di farne nello stesso tempo esperienza profonda. La competenza spesso però non si vede sulle coordinate della passione e del volontarismo in molte lodevoli iniziative culturali. Che fare? Io avrei una modesta proposta: ritornare ad avere fiducia nella pedagogia, nella trasmissione del sapere, rivalutando il concetto di “bottega”. Nella bottega si accetta lo stress e, perchè no, la sofferenza dell'apprendimento nel tempo lungo, tipici dell'artigianato. Solo così sarebbe possibile incanalare con prospettive di durata e di efficacia le iniziative prodotte dalla passione e dal volontarismo. Certo, ci vuole anche qualcuno che questo sapere sia in grado di trasmetterlo. Ma chi è abilitato a fornire questo tipo di trasmissione? Non certo i grandi enti culturali, ora più che mai gravati da situazioni economiche insostenibili, anche per colpa di gestioni spesso dissennate. Sappiamo invece quanto la provincia italiana sia ricca di realtà culturali di sicura e solida competenza, che dimostrano giorno per giorno quanta esperienza, sapienza, creatività e innovazione siano in grado di dispiegare. Se la provincia diviene il luogo dove finalmente far emergere col dovuto rilievo realtà di questo tipo, forse essa si potrà configurare come il luogo da cui ripartire per un rinnovamento profondo della cultura e della società italiana. Se lasceremo alla provincia – com'è spesso stato finora - il ruolo di pappagallo che ripete, storpiandoli e immiserendoli, i risultati esteriori raggiunti nei santuari della cultura e del mercato, perderemo un'occasione preziosa.

venerdì 9 novembre 2012

Morasso I e II

Volentieri segnalo l'uscita pressoché contemporanea di due libri del mio amico Massimo Morasso.
Mi paiono due lavori di alto profilo:
"La caccia spirituale" (Jaca Book)
e
"Essere trasfigurato" (Qiqajon).
Già che ci sono invito a leggere, sempre di Morasso, quello che a mio parere è uno dei più bei libri di poesia degli ultimi anni, "Le poesie di Vivien Leigh. Canzoniere apocrifo" (Marietti, 2005).

martedì 6 novembre 2012

L'arte della finanza

Solo per segnalare a chi è di stanza a Milano (stabilmente o di passaggio, se non ne fosse già informato, ovvio) l'apertura della sezione di arte contemporanea e novecentesca nelle bancarie gallerie d'italia (banca intesa mette a disposizione gratuitamente assieme al fondo Cariplo il proprio patrimonio artistico in uno spazio di 8000 e rotti mq. bello e ben concepito; hai capito questi Shylock...). 
Il percorso espositivo - ottimamente congegnato - rispetto alla sede che ho visitato a febbraio (il neoclassico Palazzo Anguissola con una quadreria romantico-risorgimentale e una manciata di bassorilievi di Canova) parte invece dal bellissimo palazzo liberty della ex-Comit affacciato su piazza della Scala e proprio con l'arte contemporanea. Si va dagli anni '50 con il passaggio dall'informale all'arte concettuale degli anni '70 fino a esempi dell'italicissima transavanguardia e qualche appendice degli anni '90. Ci sono saggi esemplari un po' di tutto: un'ottima sezione di Fontana (incantante il "concetto spaziale La luna e Venezia" del 1961), un paio di Burri, alcuni esempi della straordinaria pittura nucleare di Baj e Dangelo, un po' di astrattatismo, l'arte cinetica e si arriva all'istallazione del cancellatore Emilio Isgrò (L'ora italiana), a tratti davvero inquietante. Poi si torna verso l'arte povera e quella narrativa (belli due Boetti) e il neo-dadaismo avant-pop con un décollage di Mimmo Rotella. La cosa singolare che poi nella successione ti rituffi nell'Ottocento e vai dalla pittura romantico-popolare lombarda di Induno e Inganni, per dirne due, a quella pointilliste e simbolista di un Sartorio e di uno stupendissimo Belloni nella "Calma" o di un Previati (per non parlare di alcuni gioielli pre-futuristi di Boccioni, uno da deliquio come "Le tre donne"). Insomma un percorso a ritroso assai suggestivo: dalla distruzione dell'imago picta, anzi la sua decostruzione a mero concetto spinoso e de-estetizzato, alla sua ricomposizione fino all'apollineità armonica di un Canova o alla nitida geometria di un Hayez. Qualcosa che, non so perché, ma trovo molto intrigante, quasi spunto per una riflessione sull'estetiche del tempo nostro, sull'attraversamento di certi stalli.

lunedì 5 novembre 2012

"Brindelli spolitici" di Umberto Fiori

dice che non c’è più domani.
Questo si fa… quest’altro non si fa…
E dove la mettiamo, la libertà?
Io me ne fotto. Si estingue l’umanità?
Restiamo sempre noi italiani.

(tratto da "doppiozero.com")

venerdì 2 novembre 2012

Ferrante, l'inizio

"Mia madre annegò la notte del 23 maggio, giorno del mio compleanno, nel tratto di mare di fronte alla località che chiamano Spaccavento, a pochi chilometri da Minturno. Proprio in quella zona, alla fine degli anni Cinquanta, quando mio padre viveva ancora con noi, d'estate affittavamo una stanza in una casa contadina e trascorrevamo il mese di luglio dormendo in cinque dentro pochi roventi metri quadri. Ogni mattina noi bambine bevevamo l'uovo fresco, tagliavamo verso il mare tra canne alte per sentieri di terra e di sabbia e andavamo a fare il bagno. La notte in cui mia madre morì la proprietaria di quella casa, che si chiamava Rosa e aveva ormai più di settant'anni, sentì bussare alla porta ma non aprì per paura dei ladri e degli assassini."

Questo è il primo capoverso de "L'amore molesto", libro d'esordio di Elena Ferrante (uscì nel 1992). Finora ne ho lette quindici pagine appena, perciò del libro non parlo.
Cosa c'è che mi attrae, nella prosa della Ferrante? C'è che ogni frase - fateci caso - porta con sé un'immagine o un'informazione sempre forte, che nel contempo si somma a quella precedente (a quelle precedenti) ma pure, nella sua perentorietà, la (le) sostituisce. Avete notato quante cose già intravediamo, in pochissime righe? Intravediamo però, non scopriamo: è come guardare da lontano o da dietro un vetro opaco. E poi ci sono quelle parole magiche, messe lì con studiatissima finta noncuranza, che accendono la frase, la rendono assieme ipersignificante e scalena: "chiamano", "proprio", "roventi", "alte", "ormai".
Mi si dice che il suo ultimo libro, "Storia del nuovo cognome", non sia un libro riuscito. L'ho lì, nella pila delle cose da leggere, assieme a "La figlia oscura".
Piano piano leggerò tutto di questa scrittrice misteriosa e - a prescindere dal giudizio di valore che se ne voglia dare - unica.

giovedì 1 novembre 2012

L'amour (ou l'extrémité de la mort)



Ci sono film coraggiosi. Questo lo è. Ci sono film che risultano fastidiosi. Questo lo è. Noiosi. Anche. Sgradevoli, pure. D'altronde accoppiare la vecchiaia, la messa in scena di un corpo decrepito, consumato dall'età (il bagno della povera Anne oramai invalida, il cambio dei pannoloni ecc.) con la malattia degenerativa (l'ictus che prima la paralizza, poi la spoglia di qualsiasi dignità d'esistenza) è un atto sommamente impudico, sfacciato. La lentezza, tutta francese, del narrato, l'assenza di qualsivoglia orpello di supporto (musica, pur trattandosi di due musicisti in pensione), la claustrofobia di un logoro interno parigino, l'insistita ripetizione delle gestualità infermieristiche del marito Georges hanno un che di offensivo pur nella grazia accennata con cui vengono dipinti. Nessun moralismo nostalgico (due vecchi che sul punto di dividersi si raccontano ad esempio, scelta scontata e quindi accuratamente evitata). Così la scena clou, quella in cui Georges all'ennesima lamentazione autistica della moglie ("male, male") prima la carezza addolcendo la sua sofferenza con un racconto della sua infanzia e poi la soffoca con il cuscino, è l'atto di massimo amore, cui segue il suo suicidio (lasciato all'immaginazione) perché ovviamente non viene evocato sulla scena. Il collimare amore-morte è così un cerchio saldato dall'azione, non da parole vuote o da sterili riflessioni poetiche o teoretiche. La fine di una vita, il rispetto della dignità della vita stessa nel momento in cui si assegna dignità anche alla morte, a una morte rispettosa di quella dignità, ripropone il tema sulla 'giusta morte' (più che sulla 'buona morte') con una penetrante, chirurgica esattezza. Priva di clamore, di urla, di sbraiti. Ma nella precisa, scandalosa rappresentazione di una vita al suo termine, colta nella sua massima vulnerabilità e solitudine, che nulla pretende se non la conservazione di un rispetto, la possibilità di vivere anche l'estremità della morte attraverso l'estremità dell'amore; di un gesto carico d'amore verso se stessi, prima di tutto, e verso chi si è amato.