giovedì 31 maggio 2012

Dedicato ai nuovi poeti che pensano solo a farsi le pippe a vicenda su facebook...


Ci sono alcune considerazioni che vorrei mettere in fila, riprendendo l'introduzione a “La generazione entrante”, considerando alcune cose che sto osservando negli ultimi tempi, riportando anche quanto accennato nel mio intervento durante il convegno di Venerdì a Rimini durante “Il porto dei poeti”: esiste e forse è qualcosa di più di un'esigenza, forse si potrebbe definire come una necessità, che inizi in qualche modo un processo virtuoso che tolga gli attuali 20-25enni dallo stato di torpore in cui sembrano essersi infilati. E adesso potrete incazzarvi, potrete mandarmi a cagare: ma oggi invece di “uccidere i padri” ho optato per due pedatine nel sedere ai miei fratelli minori.
Perché la grande paura che ho è che con l'alibi della precarietà, della crisi economica internazionale si decida di non scommettere, di non esporsi, di non scontrarsi, ma nemmeno confrontarsi con chi li ha preceduti in questo mondo certamente difficile e pieno di problematiche della poesia: questo vale sia per la poesia che per la critica, mentre a quell'età nelle precedenti generazioni si fondavano riviste, case editrici, si pubblicavano libri importanti per il cambiamento, per l'evoluzione e del modo di fare poesia, oggi la tendenza generale è quella di rifugiarsi dopo i blog su facebook e ancora maggiormente in questo momento su twitter andando sempre più alla ricerca di un mezzo veloce e in maniera direttamente proporzionale privo di analisi, privo di riflessioni. La paura che tutto questo risulti sufficiente mi muoveva già un anno fa quando in questi giorni preparavo l'antologia che sarebbe poi uscita presso Ladolfi ed oggi in qualche modo mi convinco ulteriormente della realtà di quel quadro. È la mancanza di iniziative a preoccuparmi, e in questo senso vorrei essere velocemente contraddetto, ne sarei lieto, non sapete quanto: come vorrei almeno per un poco evitarmi quelle mail dove scrivono “io sono speciale, io non leggo poesia perché quello che faccio va al di là della poesia” e poi ti trovi a leggere robaccia senza capo né coda. Lavorate, sudate, rischiate, producete, fate, invece che parlarvi addosso fate ! Solo così potrete sfuggire da questa visione da “reality show” della poesia dove l'importante è avere il talento e aspettare sull'uscio di casa che arrivi il contratto che ti cambia la vita e poi lo studio, la scuola, la formazione verranno in un secondo tempo. Ma quando hai il fattore X li sì che svolti ! E intanto continui a postare una poesia al giorno sul tuo wall sperando che passi qualche Mara Maionchi del sistema letterario e ti faccia il contrattone. Il problema è proprio questo: la Mara non passa, ed ogni cosa bisogna guadagnarsela... Ad esempio bisogna guadagnarsi il dialogo, il confronto, bisogna andarsi a cercare gli interlocutori che possono fare il bene di una crescita poetica, e si badi bene non è un discorso di compromessi o intrallazzi, ma di dialogo e lettura, di esercizio ancora una volta, di lavoro, perché dovete prendere il fare poesia proprio come un lavoro, anche dal punto di vista critico, dovete imporre la bontà delle vostre idee, e ribadisco dovete farlo con le opere (e con nient'altro), prendendo decisioni, esponendovi, argomentando le vostre scelte, e tutto deve essere pubblico, tutto deve essere fatto in mezzo alla gente, non tramite i gruppi mail, anche una volta dialogo tra pochi. È ora di cresce, sotto ogni punto di vista, solo così potrete cambiare tutte le storture che sono state combinate prima di voi, troppo comodo sparare solo dietro a quelli che si espongono, che magari cercano di fare. Ma l'omertà è cosa tipicamente italiana, cosa che però può decisamente venire meno. Dipende da voi insomma, se deciderete di non bastarvi ma di aprirvi al mondo, ed aprire al mondo la poesia, che ne ha bisogno, decisamente.


Matteo Fantuzzi.

sabato 26 maggio 2012

Dagli altri


Dopo il fitto del bosco c'è una radura che né piede né occhio umano violerà mai.
Alessandra si avvicinerà più di tutti. Ma dopo tre ore e mezzo di cammino, stanca e annoiata, tornerà indietro, dagli altri.

mercoledì 23 maggio 2012

Giornata di vento a Milano



Est

Che ombra rannicchiata sui gradini del tempo
leva il capo, si ridesta a questo vento
crudele, che nell'aria di quarzo soffia vita
e rovina, e la necessità cupa e celeste?

Quali ponti lanciati e verso dove
sono le nostre esistenze e con piu pena
quando un impeto strano opprime i vetri e rade
l'erba e un nuovo inizio turba le radici?

Ah il tempo quali arcani giorni genera,
che viaggi, che ancore levate.
I relitti si vestono di fiori
e d'ansia, le chimere distendono le ali.



Mario Luzi

sabato 19 maggio 2012

Circoletto viziosetto

Ho poca memoria.
Per esempio: dei libri che leggo, dopo pochi giorni non ricordo pressoché niente.
Questo è un grande vantaggio quando scrivo: non sono imbrigliato in debiti, manierismi, ammicchi, rimandi, eccetera; perciò credo che la mia fantasia sappia muoversi con buone rapidità e autonomia.
Però è una vergona quando sono a cena con qualcuno: quasi mai riesco a parlare decentemente di una lettura comune, quasi mai posso adoperare attacchi tipo: "Come disse", quasi mai so illustrare il percorso letterario di questo o quell'autore. Appaio ignorante, superficiale, autocentrato. E così ci resto male e finisco per bere troppo.
E poi il bere nuoce alla memoria...

martedì 15 maggio 2012

Pietro Roversi, due poesie

Pietro Roversi, da Oxford, mi invia per lettera (ah, le lettere!) due poesie.
Nella nota accompagnatoria, Pietro descrive così i testi: "il primo è la traduzione di una poesia di Marianne Moore ('Injudicious gardening', 1924). Il secondo è il testo mio che la interseca, per così dire".

Eccoli.


I. PIANTE E FIORI DI POCO GIUDIZIO (da Marianne Moore)

Se il giallo simboleggia infedeltà
io sono un infedele:
a rose gialle non vorrei del male
solo perché era tradizionale
che il giallo porti male
e il bianco bene.

Eppure, la tua sfera personale -
il senso del diritto
al tuo privato - è una spalliera attorno
alla tua proprietà, fa da barriera
a occhi indiscreti, e non merita
interferenze.


II. GLI ANATROCCOLI

Di un impermeabile di cerata, nuovo e lucido,
mando a memoria innanzitutto la lunghezza
d'onda. Lo stesso di una tenda per la doccia.
E quest'enfasi sul giallo
non è perché cerco un idraulico
o un elettricista, è che trovo
che dopo tutto mi sta bene, me lo merito.

D'altronde, in un negozio
io prima provo, scelgo e poi controllo il prezzo.
È perché sotto sotto voglio
un destino benigno che mi coccoli.
M'incanta la giustezza a posteriori.
Sia che lo dica con i fiori o cogli anatroccoli.

(17/1/2011)

domenica 13 maggio 2012

Cose (mai) dette

A proposito di pensierini detti, ridetti, mantrugiati, espettorati, mi riaggalla questa reminiscenza universitaria, di quando preparavo l'esame di Egittologia, fra gli altri, sul ponderoso tomo dell'egittologa Edda Bresciani, demotista di vaglia.
Dalla tomba del re Antef (grosso modo Medio Regno, 2100 a.C.) appunto qui qualche excerptum, direi, di senso pieno. Nella sua genuinità di un spessore senza bisogno di commento.

IL LAMENTO DELL'ARPISTA

Periscono le generazioni e passano,
altre stanno al loro posto, dal tempo degli antenati;
i re che esistettero un tempo
riposano nelle loro piramidi,
son seppeliti nelle loro tombe
i nobili e i glorificati egualmente [... ]
Nessuno viene di là,
che ci dica la loro condizione,
che riferisca i loro bisogni,
che tranquillizzi il nostro cuore,
finché giungiamo a quel luogo
dovo sono andati essi.
Rallegra il tuo cuore:
ti è salutare l'oblio. [...]
Pensaci,
passa un giorno felice
e non te ne stancare.
Vedi, non c'è chi porta con sé i propri beni,
vedi, non torna chi se n'è andato.

(trad. Edda Bresciani)

da Letteratura e poesia dell'Antico Egitto, Torino, Einaudi, 1990 

sabato 12 maggio 2012

Pensiero del giorno

Terenzio, nel II sec a.C., disse: è impossibile dire qualcosa che non sia già stato detto.

mercoledì 9 maggio 2012

Ferdinandissimo!


Molti anni fa a Roma, quando ascoltai il nome di Annibale Ruccello, sulle prime m'immaginai subito uno degli autori meravigliosi del nostro teatro tragico cinquecentesco, quelli raccolti ad esempio nella pregiatissima edizione Ricciardi. Sia nel nome che nel cognome suonava così antico. Poi scoprii ben altro; la prematura scomparsa, la produzione poca ma stimata alta, altissima. Non sono riuscito all'epoca a vedere l'allestimento, che con amorosa dedizione la divina, straordinaria Isa Danieli, altrove da me apprezzata, diede di "Ferdinando", considerato il suo capolavoro, opera a un di presso somigliante a un lascito estremo, giacché scritta nel 1985, l'anno prima dell'incidente d'auto che se lo portò via. L'ho vista ieri in una registrazione con la regia di Bertolucci, a tratti troppo carica, ma molto, molto suggestiva. Che dire...è un capolavoro assoluto, totale. Capolavoro di lingua, di immagine scenica, di costruzione di una trama solida, dal sapore antico col suo colpo di scena finale, eppure così moderna, audace nella scelta dello sfondo storico, profondissima, acuta, limpida nel disegno dei personaggi. Una materia viva, luminosa. Che l'abbia scritta un uomo di teatro, un animale di teatro (Ruccello ne curò la regia, che si fece postuma nella riproposizione filologica della Danieli) è un po' la nota dolens. Un teatro così imparolato e immaginoso, così carico di energia esplosiva, possibile che non sia possibile vederlo scritto da un drammaturgo, un autore di parole, che lasci poi ad altri l'allestimento? Un teatro di parola così potente un drammaturgo oggi non sa più evocarlo?

domenica 6 maggio 2012

Sull'editoria

Buondì.
Vi segnalo questo intervento di Leonardo Fiasca.

martedì 1 maggio 2012

Primo maggio


MURATORE

Andar per aria.
Mi è sempre piaciuto.
Dai miei alberi di un tempo hanno segato
tavoloni per i ponti dei cantieri.
Ma c'è anche la terra,
l'acqua marina, l'ombra
e il sonno.
Mi piace anche questo.
La corsa sulla sabbia rassodata
della battigia, il tuffo,
la salita che regola il polso,
il riposo nell'erba.

da Gianfranco Ciabatti, Preavvisi al reo, Manni, 1985