lunedì 11 giugno 2012

sembra Parigi oggi

<<sembra Parigi oggi
questa periferia
con la sua luce polverosa e dolce>>
dice il cittadino in festa
che, laggiù sotto i platani,
porge, assieme ai ragazzi del bar,
il vino ai vecchi sulle panchine

tra le bandiere dai tanti colori
cerchiati di blu,
ognuno rinuncia alla vergogna
del proprio niente
e diviene (a vicenda) dell'altro
spettatore riconoscente

(Enrico Testa)

mercoledì 6 giugno 2012

De Ethologia Litteratica (addendum)

Sono ambasciato. Sì, una questioncella mi ambascia. Il letterato, l'uomo di lettere, scrivente-leggente, usa le parole, le cura, le accudisce, le seleziona. Questo è esercizio di amore. Per le parole. Rispetto. Ma è anche uomo, quotidiano, reale ecc. e le parole le gestisce per altri usi, più pratici, spesso frettolosi. Talvolta sgradevoli. Ecco, voglio essere qui sgradevole, prima di tutto con me stesso. Il letterato, da che mondo è mondo, è buon amministratore dell'immagine sua. La distilla (diari, lettere sono quanto di più insincero possa esserci, soprattutto quando dicono il vero) e quando si offre pubblicamente (tralasciando il sottogenere rampicans di cui mio cugino ha già parlato qui) bada a effiggiare di sé un'immagine abbastanza accettabile, insomma punta a essere gradevole. Di questi tempi, poi, l'educazione letteraria conta, eccome. Magari le sgradevolezze le si consegnano alla finzione, come una carta moschicida. Diciamo che essere letteratico, poetico anche nella condotta è preferibile. Coi letterati consimili, presunti o presuntosi tali, è buona norma non sbracarsi troppo, almeno all'inizio. Basta, vado al sodo.
Primo esempio. Non accetto che i miei studenti vadano fuori dal rigo, è mio ufficio d'altronde. Neppure possono accennare l'incipit di un: cazzo, vaffanculo, stronzo, figlio di puttana, pezzo di merda, rotto in culo, grandissima troia, che un solo sguardo e li stronco, fino a sanzionarli, se il caso. A una di quelle pubbliche presentazioni libracee, le terribili 'letture dei poeti in agosto' di cui parlava già Giovenale,  a me non è mai capitato, purtroppo!, di vedere l'oratore intercalare qua e là qualche sproloquio anzidetto, senza intento aggressivo per carità, ma solo così per adlectio retorica, così come in qualche cena amicale, confidenziale, fra letterati, poeti, artisti (frequentate pochissime, d'altronde; quindi posso aver frequentato quelle sbagliate). Eppure io sono molto, molto volgare; parolaccio a dismisura, turpiloquio come sintesi cromatica metaforica spesso assai più esaustiva del termine corrispondente, e quando sono particolarmente ispirato bestemmio con devozione, sì da far tracollare il pantheon da Ammon-Ra a scendere. Compatitemi, psicanalizzatemi pure, ma il punto è: sarò bipolare, ergo non sono un letterato DOC?
Secondo esempio. L'igiene lessicale come igiene concettuale. Sono da molto tempo a favore del matrimonio omosessuale, ma se mi devo riferire a una coppia gay, a un tizio incrociato per la strada a sbaciucchiarsi col suo compagno o alla categoria in genere non dico: quell'omosessuale, gay, ma "quer frocio(ne), ricchione" (ancora non mi aduso al termine meneghino culattone). L'elenco delle sguaiataggini politically uncorrect potrebbe proseguire in questo campo per traiettorie, diciamo, 'ideologiche' tarate sul gusto personale.
Mio cugino, quell'anima benedettina di Fra Daniello, mi dice che la vera volgarità è la menzogna, l'ipocrisia. La doppiezza incognita. Ma non mi convince. Mi sa che farò una capatina ad Abbiategrasso da lui, per farmi esorcizzare. 

martedì 5 giugno 2012

De Ethologia Litteratica


un esemplare di Homo litteraticus rampicans di ca. 30-35 anni




Homo litteraticus rampicans 

(altrimenti detto  linguaviscidus artifex)

Derivato dall’homo litteraticus simplex, suo immediato progenitore, talvolta assai somigliante all’homo litteraticus progrediens, al punto di generare in più d'uno confusione, l’homo litteraticus rampicans prolifera e si riproduce in qualunque habitat, adattandosi ad ogni latitudine e  condizione ambientale. Di norma sviluppa le sue attitudini sin dalla primissima giovinezza e le conserva, raffinandole notevolmente, fin nell’età adulta, mentre le perde soprattutto in età avanzata; solo qualora, però, sia riuscito a soddisfare a pieno il decreto del suo Dna, decadendo pertanto la condizione iniziale della sua missione genica (scordarellus ex-adulator). Può presentare un pedigree blasonato tale da agevolarlo notevolmente nell’utile allaccio di legami di branco (filius aut nepos clari hominis), ma è soprattutto il suo carattere a distinguerlo: è di norma mite, mansueto, apparentemente timido, accondiscendente, gentile, educato e molto socievole. Preferisce da subito la vita di branco, adattandosi senza grossi problemi alla funzione di gregario (tirapiedicus leccans) e, quando si presenta il destro, sa  spodestare il capobranco sia per via esogena, in accordo con altri capibranco, sia per successione ereditaria endogena indotta. Nel primo caso il suo manto, sempre luminescente e sgargiante, assume temporaneamente i colori del branco neo-eletto con poche variazioni cromatiche (voltagabbanus raptissimus). Quando è nella stagione degli amori – praticamente 365 giorni all’anno – sfodera una chiostra di denti bianchissima con la quale suole partecipare ai convegni erotici, esibendosi in danze rituali collettive estenuanti (festivalierius galoppinus) oppure offre personalissime esibizioni in sequenza ravvicinata (pubblicus presentator librorum suorum in omni Dei regno). Per la legge draconiana che quello che si sa fare di solito non si insegna, può talvolta allevare piccoli branchi di giovani individui disorientati, così da procacciarsi nutrimento  e ampliare il suo territorio di caccia (magister creativae scripturae scholae), talaltra provvede alla manipolazione della specie con esiti spesso assai più felici per la perpetuazione della stessa (homicidiarius editor). Quando, invece, decide di giustiziare i suoi consimili in modo aperto, decretandone la vita o la morte (recensor criticus), applica la normale condotta del mondo animale: provvede alla soppressione dei più deboli e ininfluenti e premia i più potenti. Nell’espletare questa attitudine è in grado di creare una fitta rete di relazioni sociali, badando bene a non guastare utili e profittevoli affiliazioni, mentre è assai abile nello scansare i contatti inutili, inprofittevoli. Tende a partecipare a quanti più numerosi sottobranchi dediti alla selezione della specie (giuratus letteraticus), garantendo la circolazione di quintetti agguerriti, dominatori della stagione annuale di caccia (cinquinae premiandae), sì da evitare l’intromissione di soggetti inquinanti la specie medesima. Al culmine della sua vita matura, quando anche le più sperdute nicchie ecologiche possono godere delle sue universe esibizioni rituali (intellettualis televisivus ubiquus), può ricevere i massimi riconoscimenti della specie, assumendo ruolo di capobranco o addirittura di totem sacrale (stregatus insignis, meridianatus collector).

dalla Summa Ethologica
Litteratica ad scriptorium beneficium
renovata ab ovo usque ad mala (amotō dulce)
Liber I,2 p.8
Vocis compositor:  fra’ Daniello Laquetticulo da Abbiategrasso

lunedì 4 giugno 2012

Il problema sessuale

Il problema sessuale
prende tutta la mia vita.
Sarà un bene o sarà un male
mi domando ad ogni uscita.

(Sandro Penna)

venerdì 1 giugno 2012

Sussurro della sera

E quando mi avrai letto, getta questo libro ed esci. Vorrei che ti avesse dato il desiderio di uscire, uscire da qualunque luogo, dalla tua città, dalla tua famiglia, dalla tua camera, dal tuo pensiero. 
                                                                                                       André Gide, I nutrimenti terrestri

Mi sono convinto spesso, avendolo provato a marchio di fuoco sulla pelle già a vent'anni, che non si ama fino in fondo quest'amore di parole, che chiamano letteratura, senza odiarlo almeno di misura eguale. Senza avvertire un senso profondo di ripulsa, avversione, disprezzo proprio nei confronti di questa possessione. Anzi, misura concreta di una possessione infuriata è proprio la sua negazione infuriata anch'essa, un ardore di consumarla fino a suicidarla, estirpandola se mai possibile, proibitissimo sogno. Quando nelle frasi, le movenze, persino certuni sguardi colgo un fideistico amore, una dedizione sacrale non contaminata dal torbido virus dell'autodistruzione, rimango perplesso. Come se non si riuscisse a percepire quanta perversione di vita, quanta inutilità supponente, si consuma in questo ostinato esercizio di immaginare parole e di parole nutrire immagini, finzioni, fantasmi di vita. E' come se il virus che nel tuo corpo a un dato momento s'è inoculato da sé, genetica stortura immedicabile, non abbia saputo nutrire l'antidoto, gemello e necessario alla sua corretta sopravvivenza. Quell'insana non-vita vive della vita, che l'ha generata, la vampirizza a ogni nuovo passo di ri-creazione e uccidendola sopravvive, lei che s'è bella e seduta sul trono e non trova dentro questo pneuma effimero il suo avversario, che minacci di buttarla giù dal trono. Questa forse potrebbe darsi come linea di confine fra il poeta e il letterato. Fra chi crea e chi compone.