venerdì 31 maggio 2013

Niente di nuovo

Bada poi che il fatto di leggere una massa di autori e libri di ogni genere non sia un po' segno di incostanza e volubilità. Devi insistere su certi scrittori e nutrirti di loro, se vuoi ricavarne un profitto spirituale duraturo. Chi è dappertutto, non è da nessuna parte.

Seneca, Epistulae morales ad Lucilium, I, 2, 2

giovedì 30 maggio 2013

Parole, parole, parole



È la vergogna dell’istante puntuale e puntiforme che ci ispira i discorsi destinati ad appiattire la punta acuta, a smussare la mannaia tagliente della morte. La scappatoia attraverso la retorica, la prolissità nella retorica, è forse un mezzo per eludere questa brachilogia suprema dell’istante supremo. O, per usare altre immagini, il pudibondo getta sul volto della morte il velo del suo discorso, come Tartufo getta il suo fazzoletto sulla scollatura di Dorina… Nascondete questa morte oscena che io non posso guardare!

(Vladimir Jankélévitch, "La morte", Piccola Biblioteca Einaudi, p. 224;
mi sono appuntato chissà quante altre frasi, ma mi trattengo dalla tentazione di trascriverne ancora.)


domenica 26 maggio 2013

"La grande bellezza" di Sorrentino

Sono andato a vedere questo film avendo letto una stroncatura, tutto sommato ingenerosa. Il film a me è piaciuto; intendiamoci non m'ha entusiasmato ma è un film nel complesso riuscito. Di certo va intesa la sua cifra stilistica, che è dichiaratamente barocca: intesa come eccesso di cose, assemblate non sempre e credo volutamente à merveille, nel sottinteso didascalisco di molte scene, nel diluirsi temporale di azioni che di certo concetrate avrebbero avuto valore di efficacia maggiore ma non sarebbero state quello che dovevano essere. Servillo anche qui dà una prova straordinaria nei panni di uno scrittore dandy e cinico in disarmo da anni, circondato da una pletora di spiumati borghesi e sottoproletari, da donne svaporate e nevrotiche. La Roma che appare è di certo tutta nell'interno di una ricchezza crassa e vigliacca, una Roma da cartolina, con uno splendore bizantino, decadente. Alcune soluzioni, pur in una fotografia più che onorevole, sono scadenti: i fenicotteri rosa al computer sul balcone di Gambardella sono davvero orrendi, come la giraffa alle terme (credo) di Caracalla la si poteva risparmiare. Altre scene invece nel loro essere smaccatamente allegoriche riescono bene; vedi la passeggiata notturna di Servillo-Ferilli con il 'custode della bellezza', quel guardiano delle chiavi che li fa entrare nei più bei palazzi e musei di Roma (veramente riuscito il notturno ai capitolini, la nuda silenziosa bellezza eterna dell'arte). Il finale, poi, è dei più consueti, ma alla fin fine è quello che poteva e doveva essere; il ritorno di Gambardella alle origini della sua giovinezza incontaminata. Un po' fiacco, di comodo, così come la visita alla coppia semplice dalla vita 'bella', di un vedovo che rivela a Gambardella che la moglie da quell'amore giovanile al faro per lui non si è più ripresa; "ma che belle persone che siete" è una frase elementare, che dice tutto, può apparire scontata ma è il giusto commento a quello che Gambardella in quel momento prova. In sintesi: un film barocco, senza rigore e regola, smodato, con eccesso di apparato e magnificenza di arredi (i continui cambi di scena e piani sequenza), ma è una fotografia adeguata di molta parte di questi anni. Barocchi, eccessivi, sregolati, informi, diluiti, fiacchi, scontati; diciamo pure noiosi.

sabato 25 maggio 2013

La felicità


La felicità è la preoccupazione del piacere.

(Vladimir Jankélévitch, "La morte", Piccola Biblioteca Einaudi, p. 48;
che libro portentoso, privo di ripari!)


venerdì 24 maggio 2013

Noterellina en passant (strictly reserved)


(ricorderete che avevo promesso, nei dintorni del mese delle rose, che avrei approcciato il monstrum, il cigno, il gabbiano della letteratura novecentesca? Be', l'ho fatto. Le prime cento pagine, l'avvio dell'infanzia a Combray, intendiamoci. Ci vuole tempo per procedere, studiare, rileggere. Però: cacchio! Si ride! Sì che si ride - anche, non solo ovvio - ma talune volte si ride. Di un riso leggero, sornione, raffinatissimo...che dire? Non me l'aspettavo. Così come tante, ma tante altre cose non m'aspettavo...)

domenica 19 maggio 2013

Guardo piovere


Ieri, tutto sommato senza motivo, sono andato al Salone del Libro di Torino.
Entro al Salone alle 10.15, saluto chi devo salutare, compio un giro rapidissimo per gli stand, continuamente domandandomi cosa ci faccio lì, pensando con nostalgia a mia figlia e alla mia compagna, come se le avessi tradite, abbandonate, ripudiate.
Alle 12 sono stremato. Decido di anticipare il ritorno: prenderò il treno delle 13.28.
Faccio per uscire.
Mi blocca un giovanotto in maniche di camicia arrotolate e cravatta. Alto quasi come me, robusto, atletico, abbronzato, mi punta addosso un sorriso mastodontico. Mi allunga la mano.
- Ciao! Hai mai sentito parlare di lettura veloce?
Gli stringo la mano. Guardo l'uscita.
- Sì, certo. Però scusa, ho il treno che mi parte.
- Quindi non ti interessa leggere più velocemente?
Fisso l'uscita.
- Eh, no.
- Perché?
- Perché mi piace leggere con calma, capire per bene quello che leggo. Però davvero: mi parte il treno.
- Ah, ma con noi (pausa interminabile) impareresti a leggere più velocemente, però mantenendo la stessa qualità di lettura.
Rimiro malinconicamente l'uscita.
- Il treno...
- Non te lo dico per interesse, sai?
- No?
- No! Tu, per esempio, quanti libri leggi al mese?
- Ma. Non so. Otto, dieci. Più, si capisce, giornali, riviste, blog e dattiloscritti inediti.
Il giovanotto gonfia il petto. Il sorriso mastodontico si trasforma in un ghigno mastodontico, poi in uno sguardo mastodonticamente minaccioso.
- Però io sto lavorando. Puoi pure andare a prendere il tuo treno.
Volto le spalle al giovanotto. Gli faccio ciao con la mano. Allungo il passo.
Sento che dice tra i denti: - Sfigati del cazzo.
Esco. Piove, c'è freddo. La passerella sopraelevata che conduce alla stazione di Torino Lingotto riesce in un'area dismessa, piena di spazzatura e di graffiti. Certi angoli di Torino hanno uno squallore metropolitano bellissimo. Arrivo in stazione con mezz'ora di anticipo. Non so cosa fare. Non ho fame. Mi siedo su una delle due panchine in marmo del binario 6. Tiro fuori dal borsello un romanzo. Ripenso al giovanotto. Rimetto il romanzo nel borsello. Guardo piovere.

mercoledì 15 maggio 2013

Il teatro: arte povera e biologica

Il teatro è un'arte povera e biologica. Povera perchè non ha bisogno di molto denaro per essere esercitata; biologica perché l'unica ricchezza che può vantare è nella qualità globale della persona che la esercita.
Per questo prima di dire: “faccio teatro”, dovrei pensare “mi do al teatro”. “Darsi al teatro”, viene prima di “fare il teatro”. Quando ci si dà, il proprio fare risulta come illuminato da quel darsi, che è una sfida di ogni giorno e di una vita. Quando si fa senza darsi il risultato potrà anche essere buono, ma sarà sempre episodico e soggetto alle oscillazioni dell'umore, agli accidenti della vita, insomma alle forze distrattive che ci allontanano da noi stessi. Poiché “fare” e “darsi” quando sono simultanei, quando vengono bruciati insieme sullo stesso altare, provocano un'adesione totale a ciò a cui si tende. Di questa adesione totale ha bisogno l'attore - l'uomo e la donna di teatro. Senza questa adesione fare teatro è un atto mancato, che si aggiunge ai tanti atti mancati della nostra vita.

Dunque è l'attore che ha bisogno di questa adesione totale, non è il teatro che ha bisogno dell'attore.
Se l'attore non sente questo bisogno, perché fa teatro? Attori che fanno teatro senza aderire con la totalità del proprio essere ce ne sono molti: sono gli esibizionisti e i pavidi. I primi non hanno bisogno di aderire ad alcunché, poiché si nutrono della soddisfazione superficiale che proviene dal mostrarsi agli altri per le proprie supposte grandi qualità: di bravura tecnica, di sentimento; tutte osservate minuziosamente allo specchio prima di essere rese pubbliche. I secondi vorrebbero aderire, ma scappano quando il gioco si fa troppo serio. Entrambi sono in fuga dalla vita profonda, ma per i primi il teatro è un farmaco eccitante, per i secondi una pomata che allevia il sintomo.

(Foglietto manoscritto dell'attore *** trovato, dopo la sua morte, nella tasca di un paio di pantaloni da lavoro conservati nel guardaroba della casa di campagna dello stesso).

martedì 14 maggio 2013

Privazioni, private azioni

Continuare così, tentare nuove voci dentro la carta, lavorare a questa macchina di immagini e falsità, di euforie e vergogne, con il rancore di un esiliato senza speranza e l'amore, la pazienza di un artigiano chiuso nella bottega, tra le sue piccole, vecchie, tenere cose, che nessuno sa e a nessuno interessano più.

domenica 12 maggio 2013

Paperelle


Ho letto anch'io, come il novanta per cento dell'umanità, "Open" di Andre Agassi.
Un libro divertente e ben scritto: non dal tennista ma, come si legge nei ringraziamenti, da J. R. Moehringer.
Dopo due letture-studio assai faticose, avevo voglia di un buon romanzo d'intrattenimento. Mi torna alla mente Moehringer, e scopro che in Italia è appena stato tradotto il suo secondo romanzo, "Pieno giorno".
Saltabecco in rete per cercare qualche notizia sul romanzo, e mi imbatto nella copertina.
Sulla quale campeggia lo strillo, a firma di Alessandro Baricco, che voi stessi potete leggere:

Da allora, non riesco a levarmi dalla testa l'immagine di un sicario (me lo figuro come il Jean Reno di "Leon") che prima sopprime Baricco, poi tutta la casa editrice Piemme, quindi vola negli Stati Uniti, individua l'abitazione di J. R., forza la serratura, lo sorprende nella vasca da bagno, avanza, infila la mano nella tasca interna del soprabito, J. R. si accartoccia in trenta centimetri di vasca, fa il gesto ingenuo di proteggersi i genitali, il sicario estrae una copia dell'edizione italiana di "Pieno giorno", gliela mostra, gli indica lo strillo di Baricco, J. R. giura di essere all'oscuro di tutto, il sicario gli ordina di aprire la bocca, strappa la copertina del romanzo, gliela fa ingoiare, la copertina è indigeribile, J. R. soffoca all'istante, il sicario scompare senza lasciare traccia di sè.
Due paperelle di gomma, ignare di tutto come solo le paperelle di gomma sanno essere, si osservano al centro della vasca di J. R.
 

domenica 5 maggio 2013

Altri tempi (3)

Due partiti che da anni e anni si combattono, si dilaniano, si calunniano, adesso, guardandosi bene in faccia, cominciano a pensare che forse, in fondo in fondo, non c'è tra loro nessuna differenza.

Federico De Roberto, L'Imperio, in Romanzi, novelle e saggi
Mondadori p.1203