Ieri, tutto sommato senza motivo, sono andato al Salone del Libro di Torino.
Entro al Salone alle 10.15, saluto chi devo salutare, compio un giro rapidissimo per gli stand, continuamente domandandomi cosa ci faccio lì, pensando con nostalgia a mia figlia e alla mia compagna, come se le avessi tradite, abbandonate, ripudiate.
Alle 12 sono stremato. Decido di anticipare il ritorno: prenderò il treno delle 13.28.
Faccio per uscire.
Mi blocca un giovanotto in maniche di camicia arrotolate e cravatta. Alto quasi come me, robusto, atletico, abbronzato, mi punta addosso un sorriso mastodontico. Mi allunga la mano.
- Ciao! Hai mai sentito parlare di lettura veloce?
Gli stringo la mano. Guardo l'uscita.
- Sì, certo. Però scusa, ho il treno che mi parte.
- Quindi non ti interessa leggere più velocemente?
Fisso l'uscita.
- Eh, no.
- Perché?
- Perché mi piace leggere con calma, capire per bene quello che leggo. Però davvero: mi parte il treno.
- Ah, ma con noi (pausa interminabile) impareresti a leggere più velocemente, però mantenendo la stessa qualità di lettura.
Rimiro malinconicamente l'uscita.
- Il treno...
- Non te lo dico per interesse, sai?
- No?
- No! Tu, per esempio, quanti libri leggi al mese?
- Ma. Non so. Otto, dieci. Più, si capisce, giornali, riviste, blog e dattiloscritti inediti.
Il giovanotto gonfia il petto. Il sorriso mastodontico si trasforma in un ghigno mastodontico, poi in uno sguardo mastodonticamente minaccioso.
- Però io sto lavorando. Puoi pure andare a prendere il tuo treno.
Volto le spalle al giovanotto. Gli faccio ciao con la mano. Allungo il passo.
Sento che dice tra i denti: - Sfigati del cazzo.
Esco. Piove, c'è freddo. La passerella sopraelevata che conduce alla stazione di Torino Lingotto riesce in un'area dismessa, piena di spazzatura e di graffiti. Certi angoli di Torino hanno uno squallore metropolitano bellissimo. Arrivo in stazione con mezz'ora di anticipo. Non so cosa fare. Non ho fame. Mi siedo su una delle due panchine in marmo del binario 6. Tiro fuori dal borsello un romanzo. Ripenso al giovanotto. Rimetto il romanzo nel borsello. Guardo piovere.
Be', Claudio, complimenti: non sarai un campione di lettura veloce, ma come evasione da luogo contaminato caspita! Supervelocissimo!
RispondiEliminaD.L.
Su twitter l'ashtag per gli eventi del salone era #SalTo. Salto. Appunto.
RispondiElimina...quando si dice di certe messaggi pubblicitari subliminali...
EliminaD.L.
Bello Claudio... Mi ci sono identificato in pieno... In un frangente come quello penso che avrei avuto reazioni molto simili... (compresa la nostalgia dei marmocchi e della compagna). Alla stazione avrei rimesso anch'io il libro in saccoccia; ma poi magari mi sarei applicato a leggere con passione cieca l'oraio dei treni... tutti quei nomi di città lontane... Palermo, Napoli, Salerno, Lecce, Siena... ah che bello...
RispondiElimina@giovepluvio #paroleinesubero
RispondiEliminaEffluvi di lettere, grafemi e stilemi, si scansino a vicenda dando libero passaggio al nesso incontrollato sebbene misurato nella logica omnicomprensiva di un futile esercizio. Stringi, stringi! Spandi, spandi! Appressati alla fine, non perderti nulla nel mezzo, è la suprema sintesi, la perla celata nel guscio. Capperi! Mi vedo sfrecciare nel tourbillon spazio-temporale, vocabolario sfogliato, rapido frusciar di pagine, battiti di palpebra, nistagmi oculari. È la fase Rem: sonno o dormiveglia: so di non esistere!
Scansatevi, arrivo sparato all’indice e schizzo fuori dal libro (a un angolo di quarantacinque gradi… come una palettata scagliata da un badile).
Lectio (brevis quam) facilior, il mezzo si adatti al metodo, si stampino pagine bianche che ognuno le riempia della propria fantasia.
Beato chi lo capisce!