Non mi pento di aver prima studiato di proposito a parlare, e dopo pensare, contro quello che gli altri fanno; tanto che se adesso ho qualcosa da dire, sappia come va detto, e non l'abbia a mettere in serbo, aspettando ch'io abbia imparato a poterla significare. Oltre che la facoltà della parola aiuta incredibilmente la facoltà del pensiero, e le spiana ed accorcia la strada.
(Giacomo Leopardi a Pietro Giordani, 20 novembre 1820)
Il che (oltre a modificare la ben nota sentenza catoniana del rem tene, verba sequentur - antiaristotelica, perché antisofistica nell'antica avversione al pericolo suasorio del retore, e quindi avversa al lògos del poeta prima di tutto artiere della Poetica, poi anche entusiasta, in vece del platonico-eracliteo creatore con le labbra bruciate dal fuoco incantatore della Pizia, profeta visionario slegato da qualsivoglia indottrinamento, al di qua delle masse, moralista caposetta, sentenza riconiabile in verba tene, res sequetur) potrebbe, dico potrebbe, far giustizia di tanta odierna produzione narrativa improvvisata, superficiale, sciatta, pedestre, umorale, sanguigna, veracemente ingenua, giovanilmente antagonista, che dell'argumentum, dell'oggetto raccontato, del tema forte fa motivo di autosufficienza estetica, salvo poi estinguersi il fuoco sacro, o meglio infrangersi, contro la cruda grettezza di un capoverso, l'insulsa beceraggine della sintassi, quando non davanti alla seccagine patente della singola parola.
Nessun commento:
Posta un commento