martedì 3 luglio 2012

Fra Baliani e Von Kleist: un teatro della parola che torna corpo (o un teatro del corpo che ritrova la parola).

Negli anni in cui il teatro italiano di ricerca era ancora preso tra le eredità del teatro immagine post moderno degli anni 80; i cascami della cultura dell'attore e del teatro di gruppo; gli sviluppi non solo virtuosi del teatro d'animazione; il lavoro ancora carico d'energia dei maestri carismatici della scrittura scenica anni '70; le indicazioni di gruppi che provavavno nuove vie anche piuttosto estreme (come il Teatro del Lemming di Massimo Munaro), il linguaggio teatrale fondato da Marco Baliani – che poi verrà etichettato dai critici come Teatro di Narrazione e si cristallizzerà in un vero e proprio genere praticato da innumerevoli nuovi attori-narratori - sembrava azzerare il mito dell'attore-fisico da un lato e, dall'altro, quello della scrittura scenica fatta di luci, musiche, scene, recitazione, montaggio associativo di testi disparati. Non solo Baliani stava in scena seduto – una specie di crimine teatrale, all'epoca – non solo riduceva al quasi nulla l'apparato illuminotecnico-musical-scenografico della scena, ma raccontava un testo d'autore quasi integralmente, e di un autore come Heinrich Von Kleist piuttosto trascurato – come molti altri autori del resto - dalla generazione teatrale di cui Baliani faceva parte.

Cosa fa Baliani? Teatro? Narrazione? Poesia? Testimonianza? Un po' tutto questo insieme. E lo fa affidandosi alla parola detta; alla capacità che ha la parola di farsi linguaggio del corpo innervandovisi, pur senza perdere la propria autonomia letteraria. Un esempio di forza teatrale che si è espressa al massimo grado nello spettacolo “Kohlhaas”, dall'omonimo testo di Von Kleist, che – se permettete un inserto autopubblicitario - consiglio a tutti di venire a vedere questa sera, 3 luglio, alle ore 21.15, ad Alzo di Pella, nell'ambito della rassegna TEATRI ANDANTI, 12a edizione.

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