sabato 6 ottobre 2012

Iconoclastia #1

Bene, ora che l'ho letto lo devo dire: a me Pastorale Americana non è sembrato questo gran libro.

6 commenti:

  1. Qualche motivazione, anche snocciolata alla buona?

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    1. Allora, così come vengono.

      Il personaggio Zuckermann sparisce verso pagina 100, e va bene, tutto per dare spazio a quest'infinita digressione che diventa il romanzo stesso. Non è che come espediente mi sia sembrato particolarmente brillante, né efficacissimo. A volte avevo l'impressione, leggendo, che semplicemente la materia narrativa fluisse fuori dalla penna senza nessun controllo. E non mi sembrava una perdita di controllo consapevole, ma solo quella di uno scrittore che, non riuscendo a fare di meglio, finge di perdere coscientemente il controllo di sé, sopraffatto dal racconto. Disordine. Imperizia, più che altro.

      Poi il tono, per carità. Roth alterna pagine splendide, efficacissime, spesso anche per molti versi acute, a sequenze noiose, sciatte, fini a se stesse. Non dico delle digressioni sulla lavorazione dei guanti, sulla geografia del New Jersey o simili, che spesso vengono anche a essere simpatiche e coinvolgenti, ma Gesù, cinque-dieci pagine (ripetute più volte!) consecutive di mimesi perfetta del discorso di un vecchio ebreo rancoroso che ti racconta come si stava bene quando lui era giovane non le reggo da nessuno, figuriamoci in un libro che vorrebbe essere altissima letteratura. Lo so che un vecchio fatto così parla così, fammelo sentire una volta e poi fallo tacere, dai. Non mi comunica davvero niente. Idem per il protagonista, lo "Svedese": c'è una ripetitività di fondo nel farci sapere cosa pensa di questo e quello che a volte ho trovato davvero irritante. Se per la quinta volta nell'arco di duecento pagine chi scrive ci dice che il personaggio la pensa così e così su quella cosa lì, per lo più usando le stesse espressioni, a volte le stesse identiche parole (!) io mi scoccio. Ho capito che è così, basta. Se no si ammazza tutto quello che c'è di buono intorno, e non è poco.

      Ultima e più importante: mi è sembrato che Roth volesse scrivere qualcosa di "epico", nel senso esatto del termine, cioè qualcosa di monolitico, che sbalzi sulla pagina come un bassorilievo e fluisca a poco a poco. Devo dargli atto che qua e là va alla grande: l'incipit, per esempio. L'inizio dell'epopea dal punto di vista corale della comunità in cui l'eroe è cresciuto. Grandiosi, secondo me, anche l dialoghi con il fratello Jerry, sia quello dello Svedese in chiusura di seconda sezione, sia (ma con questo un po' inferiore) quello con Zuckermann al party nella prima sezione. Jerry è un personaggio magnetico, lui sì davvero adatto al tono generale.

      Non vedo cosa ci sia di interessante invece in Dawn, la moglie. Nessun conflitto in lei, è una sagoma bidimensionale, un personaggio che fa questo e quello perché è così che deve andare. E siccome non fa niente di esattamente eclatante, che palle. Potevamo farne a meno.
      Idem per la maggior parte (anzi, per tutti) gli altri personaggi femminili. Sono di cartone. Dalla professoressa iperpolemica alla foniatra che-ha-tutto-sotto-controllo. Sono robot, non personaggi. Tanto vale evitare di approfondire e basta, no? E' una diluizione inutile e dannosa a tutto il resto descriverceli minutamente, anche perché non è che nella vicenda abbiano chissà quale ruolo, se non quello di fare atmosfera. Che poi non è che sia chissà che atmosfera. Per quello bastano le pennellate descrittive che Roth spara fuori qua e là, bellissime quando sta attento a essere conciso.

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    2. Tornando alle pagine noiose di cui dicevo prima, e sempre nel contesto dell'"epica", le aggiustature di tono proprio non mi vanno giù. Perché mettersi a sottolineare un passaggio con una sgommata retorica sgraziata e fintissima che interrompe il racconto? Una vicenda ben raccontata parla da sé, punto. Ci sono paragrafi e paragrafi, spesso pagine intere, di commento. Non li voglio. Non è una questione di scelta di stile, è una questione di pura e semplice efficacia, cioè vicinanza alla verità di ciò che si narra. Se non risci a dire una cosa presentando il fatto, forse quella cosa non meritava di essere scritta.
      Che poi il più delle volte, nel caso di questi passaggi di commento, si tratti di sequenze di frasi nominali, magari anaforiche, retoricamente insostenibili, è una cosa che ho fatto finta di non notare, perché non mi sembrava vero né possibile. Io se insegnassi alle medie e trovassi paragrafi così nel tema di qualcuno dei miei ragazzi ci farei una bella riga rossa di fianco e ci scriverei in piccolo: ma perché? Ne vale la pena?

      E poi qualche piccola incongruenza, la prolissità di certe (molte) parti, il limitarsi ad alludere ad altre parti della vicenda in un modo molto fumoso che a volte sembra solo una scusa per non ammettere di non aver voglia di occuparsene e altre bagatelle simili.

      Questi sono i perché no. Naturalmente ci sono anche i perché sì, ma io tra un po' vado a mangiare.

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  2. uno spettro si aggira per il mondo. la rottamazione. anche P.A. cade sotto i colpi del buon (mica tanto, in verità in verità) gino. non mi metterò nè a difendere roth (!?), nè a rileggere il libro (?!) per contrappuntare (cosa che avrei fatto) o confermare (improbabile) le tue tesi, edo. certo se demoliamo così quel libro, non so cos'altro possiamo salvare. facciamo così, caro gino. ti metto qui sotto un po' di titoli che ho amato molto. pronti per la tua rottamazione. dopo di che chiudiamo baracca e burattini.
    1. foto di gruppo con signora (heinrich boll)
    2. aspettando i barbari (jm coetzee)
    3. il dono di humboldt (saul bellow)
    4. rock springs (richard ford)
    5. underworld (don de lillo)
    6. tutti i racconti (bernard malamud)
    7. ottaedro (julio cortàzar)
    8. le correzioni (franzen): ah, no: già demolito...

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    1. Dai, Riccardo, non fare così. Ho vent'anni.

      E poi quello che ho scritto qua sopra l'ho sputato fuori in una pausa tra una lezione e l'altra, rispondendo a MM che mi chiedeva solo cosa NON mi fosse piaciuto... L'avessi per le mani io, uno Svedese. O avessi io la capacità di farti stare così dentro a Old Rimrock. O un Jerry. O la padronanza dell'"altalena di paratassi e ipotassi" (ricordi dove l'ho pescata, questa?).

      Detto ciò, quel che ho scritto lo penso. Non scrivo per farmi bello o che. Penso che, a volte, si sarebbero potute dire le stesse cose, con gli stessi strumenti, in modo migliore. La letteratura è superamento; e qui a tratti ho trovato stagnazione. Grossi tratti.

      Poi forse aver letto PA subito dopo le Memorie del sottosuolo un po' va a discapito di Roth: venissi da un ciclo di "50 sfumature" magari avrei pianto di commozione dalla prima all'ultima pagina per la semplice bellezza di ciò che avevo davanti. Però meglio puntare all'ottimo. Altra cosa: magari il mio atteggiamento emotivo nei confronti del libro era un po' falsato. Cioè non mi ci sono dato completamente. Sarà stata la quarta di copertina con un Baricco d'annata: "Il più bel libro degli ultimi dieci anni della letteratura americana". Ma veramente in Einaudi non hanno trovato di meglio? Ma no, non regge. L'ho letto onestamente. E onestamente non mi ha smosso il dio-fiume del sangue.

      Giochiamo. Underworld l'ho iniziato e sta in stand-by da un po' verso pagina 250, perché nel frattempo era subentrato altro, un po' per caso. Esami, più che altro. Ero tentato di mollarlo, ma poi mi sono dato dello stupido. Quelle 50 pagine all'inizio, "il trionfo della morte", sono una delle cose più belle che abbia mai letto. Seriamente. Un trip, direbbe un mio amico. Lo riprenderò, così poi posso smontartelo meglio, prrr.

      Humbolt mi manca. Però ho divorato, quest'estate, Ne muoiono più di crepacuore. E l'estate scorsa l'ho passata a chiedermi che razza di animo sterminato bisognasse possedere per scrivere Il re della pioggia. No, Mr. Henderson batte Seymour Levov, per me. Dieci metri più vicino alla verità.
      Di Coetzee ho solo Foe, e sono ricordi lontani... Sul resto passo. Non lavoro, ma qua alla cattolica immagino che già ai tuoi tempi ragazze ed esami abbondassero quasi peggio che i pessimi libri sullo scaffale delle novità.

      Però anch'io ho i miei feticci. Hai letto Infinite Jest? Non credo che Baricco avrebbe pronunciato o scritto quella frase, se sapesse che IJ è uscito a metà anni novanta. O i Principianti di Carver. Non so, Una cosa piccola ma buona. E i Quarantanove racconti? Sarà ora di rileggerli, a quindici anni non potevo capirci più di tanto. Franzen... Ah, no. Di Franzen abbiamo già (quasi) parlato.

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  3. hai ragione. hai vent'anni. infatti ammiro la tua verve e la tua intelligenza che ho apprezzato la volta che ci si è visti(invece alla tua età io avevo letto pochissimo. il capolavoro per me era la storia critica del calcio italiano di brera, fai un po' te). sai cosa volevo dire? che a quarant'anni (cioè: io tra 8 mesi) guardi agli scrittori (tutti, o quasi) con un certo rispetto. cioè: pensi alla fatica che hanno fatto. cerchi più che altro di capire se l'hanno fatta, questa fatica di scrivere. e secondo me roth - con il quale ho pochissimo in comune dal punto di vista ideale - è uno che ci mette, in termini di fatica e impegno. come gli altri che ti ho messo in elenco (comprenso il buon johnatan?)e secondo me è un'ottica dalla quale anche a vent'anni si può guardare ad un autore. cioè: una certa finesse, una certa empatia. sai bene che anche io ho le mie perplessità su certo roth (per esempio il lamento di portnoy, come avevo scritto nel blog). però penso che se rileggi il tuo giudizio (sommario, furtivo, acceso, come dici, da quel furetto geniale che è marco...) troverai che è un po' poco empatico, appunto. un po' poco generoso. sui libri che ti ho elencato. magari quello di boll (il tempo lo trovi. io lavoravo e studiavo. altro che ragazze. se non foto di gruppo, leggi l'onore perduto di katharina blum, che è breve...). ciao bello, stammi bene. riccardo

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