Proprio domenica. Dovevo
andare a Parigi, poi a Firenze, infine: Milano. Una volta tanto,
meglio delle foreste nelle quali sto rintanato di solito. Palazzo
Reale: tre mostre. Una su Modigliani, una sul fotografo Berengo
Gardin, un'altra su Nereo Rocco. Barrare il nome che non c'entra
nulla. Insomma, salgo da Berengo Gardin. Mi fermo più a lungo del
dovuto in alcune sale, che precedono quelle dedicate alla mostra, ad
ammirarne dipinti, arazzi, tappezzerie, lampadari. Quando arrivo alla
maschera è già passata mezz'ora; bene, tutto tempo guadagnato,
penso. Visto che non ho niente da fare posso godermi anche le
evoluzioni della polvere nell'aria tagliata da quel raggio di luce
così pomeridiano; o l'effetto che fa lo spiraglio della porta chiusa
male con quel suo nero misterioso immerso nella messe di colori di
porta, stipite e tappezzerie dintorno. Posso finalmente sognare, come
si sente dire a volte a certi poeti, e per sognare veramente mi basta
poco: infatti sto almeno dieci minuti ritto in piedi davanti alla
tappezzeria azzurra di seta damascata della sala settecentesca: non
so perché ma quel colore mi riempie di una strana gioia. Poi
lentamente mi stacco e incontro, dopo pochi passi, la maschera che
dal divanetto su cui sta seduta allunga una mano per prendere il
biglietto che tengo in mano. Rimango stupito; pensavo fosse un
visitatore stanco. E' vero, aveva la marsina e i polsini da guardia
museale, ma al momento non ci ho fatto caso. Ad ogni modo faceva bene
a stare seduto. La mostra era deserta, tolte quelle cinque o sei
persone che giravano immancabilmente intorno alle stesse foto che
volevo guardare io. Gran belle foto, del resto. Una sezione è
intitolata “Gente di Milano”: si vedono delle cose da
straordinario quotidiano. Musi musetti ceffi zigomature bocche nasini
canappie mascelle occhi occhi occhi mani capigliature cotonate
impomatate, abbigliamenti svasati, occhialoni. Un'Italia scomparsa,
dagli sguardi vividi, quasi fin troppo vivi, come quello di alcuni
immigrati meridionali ritratti, alla fine degli ann '50, alla
stazione Centrale forse dopo un viaggio notturno da Giù.
Perfettamente rasati e pettinati, e con un'energia nel portamento
dalla quale si vede l'abitudine al lavoro duro e alla dignità.
L'ultima foto che ritrae una donna vestita di nero col fazzoletto in
capo ritta in piedi accanto a una incastellatura di valigie non più
chiuse dallo spago ma da qualche fibbia è del 1977. Mica tanto tempo
fa. L'accostamento delle foto è all'insegna del contrasto a volte
stridente tra paesaggi umani di poveri cristi e esibizione del lusso,
di cui l'esempio più ambivalente per lo strano impasto di
straniamento, ridicolo e tracotanza che ti arriva è una foto che
ritrae un gruppo di nobili inglesi (non sono evidentemenete più
nella sezione “Gente di Milano”) in un parcheggio di auto da
favola, seduti dietro alla propria rolls royce dal cui baule aperto
un maggiordomo vestito di tutto punto sta estraendo una bottiglia di
vino che mostra al gruppetto - 4 donne con cappellini enormi e un
uomo in tight – sistemato intorno a un tavolino da pic nic, seduto
su delle sedie da pic nic non molto diverse da quelle comuni, mentre
dall'altro lato un secondo maggiordomo sembra si stia informando
dall'uomo seminascosto dalla donna al suo fianco che cosa desidera
per pranzo: “Milord, desidera paté di fegato di quelli che
guardando questa foto gli viene una rabbia da buttar giù il
quadro?”. No, per carità: sia lodato il Berengo Gardin che ha
fatto stridere queste contraddizioni l'una contro l'altra con un gran
gusto della dissonanza da musica contemporanea. Un grande, non c'è
dubbio.
mercoledì 19 giugno 2013
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