venerdì 11 gennaio 2013

Il vaccino che ci manca?


(Siamo agli Inferi, che qui viene chiamato Kursaal dei Morti. Parla il direttore del Kursaal dei Morti.)

DIRETTORE. (…) Qui da me il numero dei morti in arrivo non aumentò in maniera rilevante (siamo nel primissimo secondo dopoguerra N.d R.). Vediamo. E' arrivato lei...
ROOSVELT: e saranno arrivati Mussolini e Hitler.
DIRETTORE. Mi pare... mi pare di aver letto questi nomi nel registro. Chi sono?
ROOSVELT. Domanda magnifica! Magnifica e sprecata! “Chi sono?”. Peccato! Questo “chi sono?” avrebbero dovuto dirlo gli uomini lassù. Ripeterlo in coro. A milioni di voci. Milioni di volte. Enormi disastri sarebbero stati risparmiati. So di uno, un italiano, uno scrittore, credo si chiamasse Savinio, che diceva: “Molti cercano la soluzione del fascismo e io questa soluzione l'ho trovata: smettere di pronunciare il nome di Mussolini. In un mese del fascismo non riamarrà traccia”.
Ma nessuno lo ascoltò. Nessuno ebbe la forza di non pronunciare più il nome di Mussolini. Nessuno riuscì a non pronunciare più il nome di Mussolini. E “Mussolini Mussolini Mussolini”, Mussolini continuò a gonfiarsi, a ingigantire. Del resto quel Savinio è un ingenuo. Potevano gli Italiani rinunciare a pronunciare il nome di Mussolini? Come chiedere agli Italiani di non parlare di se stessi. Il dittatore è un concentrato di popolo. Nel dittatore si riassume un popolo intero, si esprime, si manifesta, gode, vive. Gli anonimi si riuniscono in lui e acquistano forza; i nulli si riuniscono in lui e acquistano un qualcosa.”

(Alberto Savinio, 1991, “Alcesti di Samuele e atti unici”, Milano, Adelphi, pp. 124-125)

3 commenti:

  1. Sconfortante e sconcertante attualità politica.

    D’altronde ben ne concionava il Gadda in Eros e Priapo:
    “Eretto ne lo spasmo su zoccoli tripli, il somaro dalle gambe a ìcchese aveva gittato a Pennino ed ad Alpe il suo raglio. Ed Alpe e Pennino echeggiarlo, hì-hà, hì-hà, riecheggiarlo infinitamente hè-jà, hè-jà, per infinito cammino de le valli (e foscoliane convalli): a ciò che tutti, tutti!, i quarantaquattro millioni della malòrsega, lo s’infilassero ognuno nella camera timpanica dell’orecchio suo, satisfatto e pagato in ogni sua prurigo, edulcorato, inlinito, imburrato, imbesciamellato, e beato. Certi preti ne rendevano grazie all’Onnipotente, certi cappellani di cappellania macellara; certe signore, quella sera, «si sentivano l’animo pieno di speranza». A chiamarlo animo, il sedano, e a chiamarla speranza, chel sugo.”

    Gridar si potrebbe al parafrasar d’oggidì, i-mu, i-mu! che appar grido di battaglia, richiamo per l’allodole, o verso di tal chiurlo tassativo e balzellante, ormai impagliato, che troneggia sugli spalti televisivi e strombazza nelle valli o ancor più rimbomba nei tinelli di miti ambiti casalinghi. Fatto sta che la cantilena s’insinua in quello stesso imbuto già da tempo aduso, impomatato e lubrificato, da far vibrar le corde rotte, stonate casse di risonanza.
    Ciò che da una parte entra, trovi dall’altra la sua naturale uscita.

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    1. Bello, Franco, e in tutto condivisibile.
      Savinio è autore che m'ha sempre intrigato, a cominciare dal racconto delle sua geniali mirabilia parigine ai tempi d’oro delle avanguardie, quando era musicista (e secondo me stava due spanne sopra il fratello famoso in quanto avanguardista). Purtroppo finora ho letto solo due suoi racconti tanti anni fa, uno straordinario: Il signor Münster (una perla teatrabile, mi saltò anche il ticchio).
      Invece sul rapporto uomo carismatico/masse dice qualcosa di assimilabile anche Flaiano: già nel '60 parlava di "Stato Radioteleviso" dove la folla cerca il suo eroe che sia a lei speculare «perché nella sua mitomania la Folla ormai adora solo se stessa. Vuole l’Eroe, ma gli chiede a garanzia un’assoluta mediocrità».

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  2. Il signor Munster... vado a cercarlo, grazie. E grazie a Marco per la citazione gaddiana. C'è uno spettacolo di Fabrizio Gifuni dove tutto quel testo (di Gadda) è detto, e con una forza, anche fisica, notevole.

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