martedì 14 maggio 2013

Privazioni, private azioni

Continuare così, tentare nuove voci dentro la carta, lavorare a questa macchina di immagini e falsità, di euforie e vergogne, con il rancore di un esiliato senza speranza e l'amore, la pazienza di un artigiano chiuso nella bottega, tra le sue piccole, vecchie, tenere cose, che nessuno sa e a nessuno interessano più.

16 commenti:

  1. Già, eppure in questa solitudine non siamo soli. Ma perché non riusciamo a intrecciare queste solitudini sante e creative e tessere la tela di una comunità, senza consolazioni, senza combriccole? Perché l'opera comune non ha funzionato?
    AT

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    1. La prima domanda è, secondo me, una bellissima Domanda. E poi,come possono entrare veramente in relazione "i piccoli assoluti" di ciascuno? Cosa si può ancora fare, essere? Mantenere un'apertura costante all'incontro e contemporaneamente la dedizione alla solitudine dell'artigianato? Questa 'comunità' sarebbe una 'costruzione' o un luogo ove "farci visita l'un l'altro"? Io non so dire, però la domanda che poni mi pare centrale.

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    2. Sono d'accordo. Non ho memoria di comunità letteraria produttiva con un lavoro creativo comune. Possiamo mettere in circuito le nostre solitudini, ma sarebbero ancora solitudini? Se vivessimo nello stesso palazzo, ognuno a un piano, e ci parlassimo ogni giorno, scriveremmo le stesse cose? Avrebbe senso?
      Forse quello che facciamo è il massimo possibile. Forse, leggerci di più.

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  2. Non so davvero risponderti, Marco. Mi dico: alla solitaria egolalia virtuosistica, più o meno ferita, certa fame di darsi tutto senza dare niente, anche un pò di sano o più insano desiderio di non perdere e sentirsi scavallati, il famigerato arrivismo anarcoide, si somma pure il vizio delle epoche recenti: atomiche, monadiche, dove un esercizio 'movimentista' si spegne presto o tardi nel ridicolo o nell'usura del tempo. Non so. Forse, sai, è l'inganno ingenuo della giovinezza creativa, dell'anagrafe a dover essere superato così come la sterile giustapposizione politica prima che estetica al sistema. Magari, ma forse mi consolo, è proprio quando la giovinezza 'creativa' e, ahimé, anagrafica finisce è proprio allora che può nascere qualcosa di nuovo, di vero. E proprio quando non devi giustificarti per dire o fare perché è la tua vita e tutta la tua esperienza diversa che ti giustificano. E nelle diversità, pure inconciliabili ma radunate intorno al fatto che siamo 'qui e ora', che abbiamo tutti per proprio conto superato le soglie del disincanto ma non ancora della rassegnazione, che ci portiamo appresso un bagaglio di vissuti non rimediabili né soggiogabili, è proprio allora, penso, che potremmo unirci in qualcosa che è maturamente responsabile e non più spavaldamente centrato sul nocciolo caldo di un'antica amicizia, un gruppo consolidato, del calore dell'età. Fare rete avendo già un certo numero nel sacco, insomma.
    D.L.

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  3. Nella solitudine sotterranea si creano le pietre più dure, quelle che l'erosione non intacca. La via al valore è quella. Raccoglierne i frutti, in una società letteraria che per la sua ampiezza si autolivella verso il basso, non è impossibile? Io, nella società letteraria italiana, non ci voglio entrare con i miei piedi.
    Crearne una parallela... E' possibile?

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  4. Lo spirito di D.L., insomma, lo condivido.

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  5. Non so davvero. A vent'anni desideravo, sognavo, senza sforzo a dire il vero, qualcosa come una comunità. A differenza tua, Marco, neppure ci ho provato. Difetto di solitario solipsismo, mia ferina autoesclusione. Anarcoide autocompiacimento. Mi sarò evitata la disillusione, dirai; ora me ne pento e mi manca. Ma in quella mia frasetta - strappata via peraltro da quella sorta di journal intime che m'accompagna da ventitré anni - c'è molta rassegnazione. Molto dispiacere. C'è un lutto al fondo che m'arrovella e mi consuma. Non ne vado affatto fiero, intendiamoci. Ma quest'è al momento. E non so cosa farci. E questo mi rammarica ancora di più.

    D.L.

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  6. Messo così, D. L., il discorso mi pare superi di molto l'ambito squisitamente letterario, per spiovere nella sociologia.
    Credo che pochi come Zygmut Bauman abbiano saputo illustrare i mali di questa modernità liquida. Se non c'è un'istintiva adesione alle altrui vicende esistenziali (nell'accezione più concreta del termine), cosa pretendiamo che ci siano sforzi comuni in poesia e letteratura.
    Poi intendiamoci, l'unione di un certo numero di talenti inclini all' "anarcoide autocompiacimento" può dar vita ad attriti artisticamente fecondissimi.
    Non so dove abitiate voi, ma nella mia (ancora per poco) Genova, si avvertono un egoismo e una violenza spaventose. Persone incazzate nere non per un complesso di superiorità, ma per un fastidio preventivo verso il prossimo.
    Pretendere un autentico sodalizio intellettuale (spirituale?) a queste condizioni, è come auspicare che le ospiti delle cene di Arcore recitino a memoria i Sepolcri.

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  7. Caro Claudio, di certo ho parlato per la mia esperienza fallimentare non odierna, ma datata da tempo e in quell''anarcoide compiacimento' ho evidenziato una mia condotta ora non più per me soddisfacente, ma che ha generato quello che ha generato (nel male come nel bene; e qui mi riaggancio a Edoardo). Che naturalmente, come dici anche tu, l'epoca attuale - la sociologia dei vissuti individuali e soprattutto collettivi per capirci - ricada sulla condotta del singolo indirizzandola, condizionandola, è evidente. Ma la deflagrazione dei sistemi letterari comunitari non data da oggi, da un paio se non da tre decenni. E va di pari passo con le mutazioni dei sistemi editoriali che ne rappresentano l'ipostasi più spicciola e spesso biecamente materialisticamente. Che poi fare comunità letteraria nell'oggi o,meglio, nel contemporaneo sia estremamente difficile, lo è per fattori di certo anche sociologici, ma di certo perché un modello di sistema letterario (con tutti i suoi gangli di produzione e fruizione), quello che studiamo e insegniamo a scuola fino grosso modo agli anni 70 non esiste più. E' irrimediabilmente tramontato. Il punto è come, e se possibile ovvio, ricostituire dal basso delle cellule vitali...diciamo di sodalizio? Sodalizio che non si leghi per via esogena (rancori, delusioni, fallimento oppure progetti libertari, 'rivoluzionari', extraestetici, datati ecc.). E su questo io mi trovo forse nella lunghezza d'onda dei turbamenti di Marco, pur senza aver condiviso neppure un briciolo della sua esperienza in merito.

    D.L.

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  8. Dici cose condivisibili, caro D.L.
    Nel mio precedente commento mi sono allontanato dall'ambito meramente letterario perché mi era parso che te ne stessi già allontanando tu nell'ultimo tuo commento (ora penultimo).
    Però, soggiungo, forse bisognerebbe semplicemente essere persone migliori. Più disponibili all'ascolto, più consapevoli della comune precarietà (non sto parlando della congiuntura economica) in cui ci troviamo a campare.
    Suona un po' troppo Don Bosco? Me ne scuso.

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  9. La giovinezza non era allora un alibi e non diventa una giustificazione adesso. Già allora si guardava (non tutti?) verso la condizione adulta. Solo in una condizione adulta è possibile la condivisione della solitudine. In una condizione adolescenziale c'è la fusione, l'innamoramento, il mito, le sette dei poeti estinti che rinascono e muoiono, con tutti i loro interni momenti sacrificali. E dunque è vero: sconfiniamo nella sociologia. Oggi viviamo in una società di adolescenti (vedi i nostri politici, giovani quasi a novant'anni, con appetiti sessuali da giovani brufolosi), oggi non ci sono più adulti. I pochi, non sono riconosciuti. E con questo mi rendo conto di aver riscritto il nocciolo di un tema che avevo svolto al terzo di liceo: chissà se Giuliano se lo ricorda...
    AT

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  10. Belle parole, AT.

    (A questo punto pretendo copia anastatica del tema).

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  11. Di certo, Claudio, la disponibilità all'ascolto nel letterato, credo, decresce col crescere dell'età, con l'esperienza 'adulta' (ma non sempre consapevole, per dirla con Marco) che ti rende ovviamente meno permeabile rispetto alla curiosità fagocitante seppure più talebana della giovinezza. Un sodalizio letterario adulto e consapevole potrebbe essere un punto di ripartenza e con quella capacità di ascolto di cui tu parli sarebbero proprio i gusti estetici, gli orientamente opposti, in aperto contrasto a unire più che gli ardori giovanili di comunione, di trovare per forza consonanze. A patto che un terreno comune sia proprio quella disposizione all'ascolto, la maturazione pure sofferta del proprio percorso che possa tentare la contaminazione come ascolto dell'altrui. Faccio un esempio: l'incontro 'casuale' che ho avuto con Atelier temporibus illis partiva da un approccio istintuale. Ci vedevo un coagulo di esperienza che come comune denominatore avesse una sorta di apertura estetica ecumenica e la centralità deputata al dato estetico e non a presupposti, precetti extraestetici, vuoi politici lato sensu o di intervento mano armata sul REALE. D'altro lato ricorderete tutti lo scambio di mail sui redazionali di Marco di qualche numero fa, la mia sintesi "nevrosi da esilio"; che forse è l'altra faccia di questo artigianato scrupoloso, amorevole, ma ripudiato dal resto proprio per la non adesione teoretica a manifesti 'realistici', tambur battenti e via cantando. Ecco io credo che questa possa essere una buona base di partenza. La centralità dell'opera, del suo valore e non la necessità di corollari esterni che la legittimino(siano essi profezie di rinascita, aggressioni al reale così come il mutuo soccorso lacrimevole senza la ferita agonistica del confronto-scontro che chiarifichi, dia dignità al proprio stare insieme).

    D.L.

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  12. "La centralità dell'opera": queste quattro parole valgono oro.

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  13. Carissimi, noi siamo nati attorno a queste quattro parole. In estetica, la nostra rivoluzione è semplice: non la poetica giustifica il testo, ma il testo realizza e giustifica (chiama a verifica, per dirla un po' alla Fortini) una poetica.
    AT

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    1. Sai, Marco, secondo me siamo arrivati a un punto di gradualità e temperatura letteraria per cui neppure più la poetica (figuriamoci il gradino superiore: l'estetica, cosa ignota!) sostituisce l'opera, ne è il valore aggiunto: siamo ai corollari extra-poetici: la vita, le opere le azioni e le opinioni politiche, le imprese nel bel mondo letterario, i commenti sui quotidiani, le comparsate nei festival. Se sei glamour o se sei anarcoide e sovversivo, se sei di una certa fazione politica o di un certo credo spirituale ecc. Siamo oltre il paravento ancor dignitoso sebbene insulso della maschera poetica, dell'atteggiamento da letterato teoretico e poco pratico. Siamo alla frittura della biografese, del sociologichese, del politichese da settucola o da tribunale oratorio.

      D.L.

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