sabato 6 aprile 2013

Fare le fusa (o fare le feci)?



(da tanto, tanto tempo mi piacerebbe poter leggere un giorno 
un annuncio di tal fatta su un quotidiano, 
un'affiche, una comunicazioncella qual sia sia)




Il giorno 28 di maggio alle ore 18.30 nella libreria "jime52aima"

si presenta il romanzo

"kfuem kdok dha dole" 

di

W X Y


intervengono

Fffaldl Asllsl, Cdjeka4 Bldolapò e Gklsòlf5 Tkandòl

Non sarà presente l'autore. Se ne è capace, farà le veci l'opera sua.

4 commenti:

  1. Cerco di trarre un senso (uno di molti, il mio se non altro) da questo satirico calembour.

    Autore: non pervenuto.
    Vieppiù pare questo il suo necrologio, quantomeno epitaffio dell’iniquo esercizio, quello di un’esposizione presentazione che chiama a raccolta un pubblico ormai assuefatto (non lo schioda neppure la grafia impossibile).
    Morire, dormire, lì sta l’intoppo! O la spiegazione… di una circostanza votata al caos, con parole assurde cui si richiede (in taluni casi, si concede) di aprire le porte. Di cosa, poi mai? Un delirio o deliquio profondo quale condanna globale.
    Spettatori: numerosi ma inevitabilmente assenti.

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  2. Dic sodes (fàmola simpliciter).
    Capo primo: non soffro le presentazioni libracee; né farle né subirle. Le trovo di una noia schiantante. Pare un plotone d'esecuzione dove non si capisce bene chi fucili e chi venga fucilato. A volte delle vere e proprie batterie da pentolaro: "Siòri e Siòre, ecchete qua er romanzo fresco fresco, è bbono accattatevill". Lo diceva già temporibus illis il buon Bianciardi, che in giro per l'Italia si sentiva un piazzista. Fra parentesi: commercialmente non servono a niente, anche se ti schianti a battere tutte le province. E' più la spesa che il guadagno (a meno di chiamarti Saviano o Camilleri, ovvio).
    Capo secondo: a partire dall'età romantica, si sa, e ancor più in età moderna, mediatica, figuriamoci digitale, la spettacolarizzazione dell'ego artistico surclassa la qualità dell'opera. Id est: spesso la vita, il modo in cui l'autore affascina o disgusta, risulta simpatico e educato oppure disgustoso e irriverente è il vero 'valore aggiunto' dell'opera, il suo carattere sintomatico e non valoriale. E' parte proprio del gran circo delle fiere delle vanità libercolari (ieri leggevo che in Italia, paese dove si legge poco e male, ci sono 53 festival e saloni letterari!). Se snudassimo l'opera dell'apparato biografico che la circonda rimarrebbe spesso ben poco o molto meno di quello che si aspetta. Mi piacerebbe vedere - so che è del tutto impossibile - una valutazione che valuti la qualità dell'opera e basta, che quell'opera parli, specie trattandosi dello sdoppiamento finzionale del romanzo (altra cosa è un saggio, una prosa finto-romanzo, al limite la poesia). L'autore del romanzo non è il depositario ultimo, solo un medium, un filtro; non dovrebbe reclamare né potrebbe neppure i diritti d'autore, che tutelano e hanno senso per l'investimento dell'editore che ne pretende un ritorno. Lui è solo l'ultimo della catena, la sua una voce che ha filtrato il pregresso suo e che lo circonda (materiale e immateriale; vita e carta). Le presentazioni servono più a sanare l'ego macilento dell'autore; l'opera se esiste deve esistere con lui che non le si mette accanto o addirittura davanti, ma dietro, si deve nascondere, scomparire. Invece spesso ti vedi certe presentazioni dove l'autore gorgheggia finendo per ciarlare della sua vita, dei suoi gusti, degli hobbies o del tempo. Un tuttologuccio dei tempi magri nostri.

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    1. Pardon! non pretendevo ti esponessi sì tanto. Tuttavia avverto bene l’aspetto romantico (se non decadente) nella descrizione del povero autore distaccato (ma sopraffatto) da tutto quel che compete la promozione dei suoi libri. Mi sa che oggi egli debba piuttosto garantire le vendite portandosi dietro una buona base di lettori; che si configuri in una pragmatica rendita, direi.
      Comunque è sempre un piacere seguire i tuoi voli pindarici (lessicalmente parlando).

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  3. Espormi? Figurarsi...qui sul blog (alla mia prima esperienza aggiungo) mi pare di averlo fatto fin troppo (ahinoi, dirà qualcuno). Mi piace, però, dire le cose così, spesso come sono, come vengono: si è fin troppo abbottonati, educati, forbiti, mai fuori luogo, sgradevoli. Negli ambienti letterari (quel niente che li ho frequentati) spesso pare di ascoltare più dei parroci che sermoneggiano, oppure spadaccinano col fioretto o sciabolano di urletti...sarà che io sono bi o tripolare, e amo anche lo sbraco: mi piace transitare dagli attici elisi alle bassezze delle sottocloache. Nella vita come nelle cose che scrivo.

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