Nei
teatri d'oggidì e in tutte le situazioni pubbliche di
rappresentazione (o presentazione, o oralità) quello che la parola
ha perso in eloquenza ha guadagnato in amplificazione.
L'amplificazione
microfonica delle voci è l'urlo del non significato, che però si immagina nel pieno della significanza. A chi
sappia ascoltare, quelle voci monumentali e insieme casalinghe, dove
il titanismo del risultato coincide con la remissività psicologica,
esistenziale e politica di voci da tinello, che riescono a saturare
lo spazio, a non lasciare la benché minima possibilità
all'acusitica naturale di manifestarsi plasticamente, inviano una
disperata richiesta d'aiuto: della parola contro il limite
dell'insensibilità contemporanea. Possiamo immaginarcela come la
lotta della parola contro il muro del suono; si sente che la parola
sta per fuoriuscire, si intuisce la crepatura nell'amplificazione. Da
quelle crepe potrebbe fuoriuscire il suono inarticolato delle mucose
e della lingua e degli inghiottimenti e della saliva che si impasta:
sarebbe già un annuncio di parola, o quantomeno la negazione della Non Parola dell'Amplificazione. A un certo livello di decibel ogni
voce è totalmente altra da sé, tuttavia questa alterità rimane una
possibilità non realizzata, quasi una nostaglia dell'ascoltatore,
non si traduce in una realtà fattuale. Le voci casalinghe, oltre una
certa soglia di decibel, si trasfigurano, ma tendono
irrimediabilmente alla voce colonizzata dell'industria dello
spettacolo: tutte le voci potenziate dal microfono tendono alla voce
colonizzata della televisione, alla vocalità “superamericana”
(dimensione imperialistica che penetra ogni cellula dell'immaginario
contemporaneo). Se la parola rompesse il muro del suono non
coglieremmo alcun “bang”; ma un silenzio che preparara la
rinascita.
Il
muro del suono viene rotto ogniqualvolta la voce rimane sola,
coraggiosa zattera in mezzo alla tempesta. Quando la voce ha questo
coraggio, la parola riprende forza. E' il coraggio della fragilità.
Chi si ricorda che San Francesco concionò nella Piazza Maggiore di
Bologna davanti a migliaia di persone? La forza della voce è la
forza della parola dimenticata; e la forza della parola è la forza
della voce quando accetta la propria fragilità e rifiuta
l'amplificazione.
E' un
rischio mortale per chi si fa strumento della voce. Perchè, come
accadde a Zarathustra quando giunse al mercato e si rivolse agli
uomini con la sua bruciante parola, e a voce nuda, il rischio è
l'incomprensione e la derisione.
Vero, bello e triste, Franco.
RispondiEliminaD.L.
Bello.
RispondiEliminaUn passaggio mi colpisce molto: " A un certo livello di decibel ogni voce è totalmente altra da sé, tuttavia questa alterità rimane una possibilità non realizzata, quasi una nostaglia dell'ascoltatore".
Devo rifletterci su.